Vincenzo Noto

 

 

 

PERCHE’ QUESTO LIBRO

 

 

        Da sempre ho considerato padre Mario Frittitta, religioso carmelitano in servizio pastorale ancora oggi nel quartiere palermitano della Kalsa, notoriamente molto difficile per chi da sacerdote vi opera, una vittima  a suo modo del sistema mafioso criminale che in Sicilia svolge, molto spesso indisturbato, la propria diabolica attività infiltrandosi anche negli ambienti ecclesiastici e religiosi come provano le vicende dell’architetto Giuseppe Liga, per tanti anni presidente del Movimento Cristiano Lavoratori e assiduo frequentatore di parrocchie e curie.

        Rileggendo le vicende che  hanno riguardato padre Mario Frittitta dalla seconda metà del 1997 sino a qualche anno dopo, dal momento dell’arresto alla piena assoluzione da parte della Cassazione, ci sarà pure chi darà letture diverse degli stessi fatti attribuendo probabilmente al carmelitano responsabilità particolari  per essersi occupato del boss Pietro Aglieri mentre era latitante, e crederà poco alle reiterate affermazioni del religioso che sostiene da sempre di avere fatto tutto nell’ambito della sua missione sacerdotale e nella convinzione di portare prima o poi Pietro Aglieri a consegnarsi alle autorità pubbliche. Ci  sarà anche chi non crederà alla sua versione dei fatti, ma per tutti dovrebbe fare testo la sentenza della Corte di appello di Palermo e  la conferma della Cassazione che ha assolto il religioso da ogni responsabilità penale.

         Conosco padre Mario dagli inizi degli anni ottanta e l’ho frequentato in maniera particolare quando lavoravo come redattore al Giornale di Sicilia, a qualche centinaio di metri dalla chiesa di santa Teresa dove andavo a trovarlo spesso anche per avere il suo parere per la mia attività sacerdotale. Come me frequentavano e ancora oggi frequentano il religioso carmelitano molti sacerdoti del clero secolare e religioso, e non soltanto della diocesi di Palermo.

         Quando ho visto le prime foto arrivate in redazione (avevo finito da un anno di lavorare al Giornale ma sono corso in redazione appena appresa la notizia dell’arresto di Aglieri che era stato mio alunno di filosofia al liceo classico del seminario di Monreale) del covo di fondo Marino nelle vicinanze di Bagheria dove è finita la latitanza del capo mandamento di Santa Maria di Gesù, non ho fatto molta fatica a pensare a padre Mario come al sacerdote che aveva frequentato quel posto celebrando anche la messa in un locale adattato a cappella. I titoli dei libri di Edith Stein, Elisabetta della Trinità, santa Teresa d’Avila, santa Teresa di Gesù Bambino e dello stesso Bernanos erano una traccia evidente: il latitante leggeva molti scritti di spiritualità carmelitana che avrà potuto certamente conoscere anche durante la sua breve esperienza di seminarista nel seminario minore di Palermo o al liceo del seminario di Monreale, ma immediatamente facevano pensare alla presenza di qualche carmelitano che guidava spiritualmente il latitante.

          E padre Mario, per la sua esperienza pastorale alla Kalsa, poteva essere quel sacerdote che tutti i cronisti di giudiziaria cercavano come padre spirituale dell’Aglieri che cominciava ad apparire agli occhi di tutti un capo mafia diverso, “religioso” a modo suo, pentito, ma solo dinnanzi a Dio, con tante polemiche per questa scelta considerata generalmente  assurda e incompatibile con la propria professione di credente.

          Si può essere pentiti dinnanzi a Dio e non collaborare con gli organi inquirenti per la dissoluzione del sistema mafioso? Ci possono essere ragioni personali che permettano di acquistare la pace interiore mentre tante altre vite verranno abbattute e tante famiglie continueranno a versare lacrime amare?

          Domande alle quali non è per nulla facile dare una risposta, ma che tutti coloro che si sono occupati di Aglieri si sono fatte e continueranno a farsi fino a quando non si troverà una risposta plausibile che faccia superare il sospetto di una scelta omertosa.

           E’ passato più di un decennio da quelle convulse giornate che padre Mario ha vissuto in maniera drammatica, “disprezzato”, a suo giudizio, dalle forze dell’ordine e dai magistrati, “infangato” dai cronisti di giudiziaria, ma sempre “difeso” dalla sua gente che lo conosceva abbastanza bene.

             Molte perplessità sono sorte anche sul ruolo della Curia palermitana guidata dall’arcivescovo Salvatore de Giorgi a Palermo da pochi mesi.

            Sulla Curia palermitana lasceremo parlare i fatti e i documenti, ma si è subito avuta la sensazione che da quella sponda a padre Mario non veniva nessun sostegno. Lui lo ha capito e, in diverse interviste, ne ha parlato con amarezza, facendo trapelare di essere stato posato per una scelta  a favore della procura.

            Per quanto mi riguarda posso riferire di uno scontro avuto con ambienti curiali per un articolo col quale  su Novica (un settimanale cattolico che dirigevo) prendevo le difese di padre Mario contro lo spettacolo che magistrati e inquirenti avevano offerto all’opinione pubblica facendo uscire dalla questura il religioso in manette e sotto i riflettori di tutte le televisioni del mondo.

            Chiedevo che venisse fatta una indagine sulle responsabilità di chi si era macchiato di un tale scempio della dignità di un uomo, ma ovviamente non se ne è fatto nulla. Mi è stato anche detto che se Novica avesse continuato su quella linea  ci avrebbero fatto chiudere. Ho spiegato a chi di competenza che non aveva nessuna autorità giuridica né di altro genere per costringerci a chiudere e la storia di quel settimanale dimostra che non ci siamo fatti per nulla intimorire.

           Questo libro nasce per dare, a distanza di tempo, una lettura serena di quegli avvenimenti che hanno messo a dura prova anche la stessa azione contro la mafia che clero e chiesa palermitana svolgevano, ormai da  un  ventennio, sotto l’insegnamento illuminato del cardinale Salvatore Pappalardo, che non aveva perso occasione di sostenere sacerdoti e laici nella loro difficile attività pastorale in tutti i quartieri a rischio della città. Sono stati in molti a pensare, nel pieno delle polemiche sul caso Aglieri – Frittitta, che se alla guida della diocesi ci fosse stato ancora Pappalardo gli avvenimenti avrebbero preso una piega diversa. Come, non saprei, ma padre Mario avrebbe sentito la presenza di un pastore che accanto a lui percorreva la strada del  dolore e della sofferenza.

           Il libro nasce anche per fare un poco di giustizia nei confronti di un religioso che ha reso e continua a rendere un servizio pastorale ad una chiesa sempre vicina ai più deboli e ai più fragili che non hanno mai cessato di frequentare santa Teresa e il convento dei padri carmelitani.

           E nasce anche per dare ai padri carmelitani della provincia italiana una testimonianza della loro capacità di servire nel silenzio proprio della loro spiritualità una città, un quartiere, una chiesa con umiltà e pazienza.

          Dal momento che le vicende giudiziare che riguardano padre Mario Frittitta sono legate a doppio filo all’arresto di Pietro Aglieri, mi sembra opportuno dedicare alcune pagine a questo personaggio perché ci si possa fare una idea della complessità della situazione nella quale il carmelitano è venuto a trovarsi da quando gli è stato chiesto di incontrarlo una prima volta nel covo di fondo Marino a Bagheria.

         Sarebbe particolarmente interessante occuparsi del cammino spirituale che Aglieri ha affermato di avere iniziato in una lettera a don Lillo Tubolino, parroco della parrocchia della sacra Famiglia, a pochi metri dalla stazione Centrale di Palermo, nel periodo della latitanza, come anche di tutta l’assistenza spirituale che ha avuto e non soltanto da parte di padre Mario Frittitta. Ma si tratterebbe ovviamente di un lavoro diverso che richiederebbe la massima collaborazione da parte di Aglieri che, invece, ha scelto il silenzio più totale che ciascuno può interpretare come vuole.  E molti lo interpretano in senso negativo, come un volere sfuggire alle proprie responsabilità.

         Padre Mario Frittitta, invece, ha saputo assumersi tutte le sue responsabilità accettando di  andare in un covo diventato per lui fonte di tante sofferenze, e non ha avuto nessuna paura di mettersi alla sequela di Cristo che non si è fatto influenzare da nessun giudizio da parte di scribi e farisei che non vedevano bene il suo continuo stare con i peccatori e i pubblicani, perché consapevole che  “sono i malati  che hanno bisogno del medico e non i sani.” E che per Frittitta Aglieri fosse un ammalato grave non c’era alcun dubbio. Solo per aiutarlo nella guarigione spirituale ha ritenuto suo dovere avvicinarlo, ma si è trovato in un mare di guai  per circostanze che non dipendevano da lui  e che cercheremo di ricostruire.   

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009