Vincenzo Noto |
A proposito dell’8 marzo
Dopo la vicenda Ruby e quella delle precedenti protagoniste delle feste promosse da responsabili delle più alte Istituzioni dello Stato, è difficile pensare ad una festa della donna il cui modello è la ricerca di successo e denaro con qualsiasi mezzo. Rispondente, certo, all’ideale di donna elargita generosamente dai media e dal diffuso prototipo culturale. Vogliamo pensare, invece, alla stragrande maggioranza delle donne del nostro Paese: le donne protagoniste ogni giorno della propria vita familiare; le donne che ogni giorno organizzano la propria giornata lavorativa; quelle che lottano nel proprio ruolo professionale contro le ordinarie discriminazioni; le donne impegnate nei lavori di cura; quelle che oltre alla propria vita si fanno carico della vita degli altri nelle attività di volontariato, nella società, nella politica, e così via. Per queste donne, la festa, è la ricorrenza di un fatto: quell’8 marzo del 1908 quando 129 operaie morirono a Chicago nell’ incendio della propria industria tessile perché la proprietà aveva bloccato le uscite, a seguito del precedente audace sciopero contro le terribili condizioni di lavoro. Così dal 1910, tranne parentesi necessarie (la guerra, il fascismo) l’8 marzo è la giornata internazionale della donna, simbolo delle conquiste economiche, politiche, sociali, da allora fino ad oggi, hanno portato al riconoscimento di determinanti diritti (pensiamo al diritto al voto delle donne nel 1948), per le pari opportunità e contro le discriminazioni di genere. Così, ad esempio, in Italia la legislazione a sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e per il coordinamento dei tempi della città (L. 53/2000) e, ancora prima, l’importantissimo vincolo alle imprese, nei licenziamenti collettivi, di non effettuare espulsioni in misura percentuale superiore a quella del personale maschile, nelle stesse mansioni, con interventi a favore delle lavoratrici madri durante la mobilità (L. 236/93). Al contrario, nonostante l’importantissima evoluzione, continua ancora a convivere una concezione della donna come oggetto, vittima di maltrattamenti e violenze, spesso nella stessa casa, luogo di dolore anziché luogo d’amore. E alla troppa violenza sulle donne, anche ancora bambine, solo il volontariato, i centri di ascolto, le reti antiviolenza - invece che le Istituzioni - ascoltano le paure, i drammi di donne, sole di fronte alla scelta di rendere pubblica la propria sofferenza, di denunciare sopportandone le conseguenze o di restare nel silenzio. Ancora più drammatica la condizione delle donne immigrate. Allora l’8 marzo quest’anno dedichiamolo soprattutto a tutta questa sofferenza, magari ricordando che le pie donne sono state le prime, nella società di allora dove non contavano nulla, a ricevere l’annuncio della Resurrezione!
Concetta Cammarata
|
progetto: SoMigrafica 2009