Vincenzo Noto |
Azione Cattolica Italiana – Arcidiocesi di Monreale Partinico, 19 Settembre 2010 Don Giuseppe Ruggirello
13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. 14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.
«Voi siete il sale della terra… la luce del mondo» (Mt 5,13-14) Come comprendere le parole di Gesù: «Voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo»? Se guardiamo al contesto prossimo di queste espressioni, ritroviamo l’insegnamento delle Beatitudini, che fa da sfondo alle parole che ad esse seguiranno. Infatti, solo dopo aver pronunciato il primo dei cinque discorsi sul Regno riportati dall’evangelista Matteo, Gesù conferisce un’identità ben precisa a coloro che si porranno alla sua sequela: essere «sale della terra» e «luce del mondo». Non si tratta di prerogative da acquisire col tempo, magari con la maturità dell’età, ma di una vera identità che contraddistingue il discepolo di ogni età. Gesù ci dice, infatti, «voi siete», e non «voi siate». Cambiano certo le stagioni e i contesti relazionali, i modelli comunicativi e le esigenze dei tempi: sfide che ci interpellano a vari livelli; ma non cambia, certamente, il cuore del messaggio che siamo chiamati a testimoniare quale «sale della terra» e «luce del mondo». Se l’incontro con Cristo non ha cambiato la tua esistenza, in fondo hai scelto di non scegliere. Di non scegliere Lui come centro e asse della tua vita, come luminosa e sapiente presenza da accogliere e da donare al mondo. Dunque, quelle del sale e della luce sono due metafore inscindibilmente legate all’annuncio del Regno, alla sua venuta e al tempo di attesa che lo testimonia e prepara. Ed è proprio l’impegno per il regno di Dio che porterà con sé gli oltraggi e le persecuzioni annunciati da Gesù, ma che renderanno il discepolo maggiormente consapevole del suo essere donato-per: «sale della terra».
Essere sale La prima metafora è quella del sale. Sappiamo bene che il sale è l’elemento indispensabile per condire i cibi, che altrimenti sarebbero insipidi. Ad ogni cibo il sale dà la sua forza e il suo sapore, ma se esso perdesse il suo sapore e la sua virtù, divenendo insipido, ci dice Gesù che «a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente». «Voi siete il sale della terra». Come il cibo, così anche la terra, cioè l’umanità, ha bisogno di sale da cui ricevere sapore e forza. È questa, infatti, la vocazione dei discepoli di Cristo. Se vivranno le beatitudini e saranno poveri in spirito, miti, affamati e assetati di giustizia, misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace e pieni di gioia in ogni persecuzione, essi diventeranno la forza dell’umanità scipita e insapore. Loro forza vitale dovrà essere un’esistenza pura che tragga la sua linfa dal regno di Dio e sia totalmente orientata ad esso. Tuttavia, Gesù sembra avvertirci sul pericolo della insipidità del sale, a cui è impossibile ridare sapore se diviene insipido. Infatti, la vocazione ad essere discepoli può perdere il suo primo vigore, e può venir meno anche la forza di una vita orientata a Dio e alla costruzione del Regno. Tutto questo però non ha un risvolto esclusivamente personale e soggettivo, che riguarda il singolo discepolo, ma ha un effetto universale. Principalmente su quella «terra», alla quale verrà meno il sale insostituibile che può raggiungere e fecondare l’umanità, donando sapore alla vita e senso all’esistenza. Ogni discepolo, infatti, non vive la sua esistenza come una chimera o come una monade, ma inserito in Cristo mediante il Battesimo, diviene parte di un corpo mistico chiamato ad essere nel mondo presenza significativa e visibile – luce e sale, appunto – del mistero di salvezza che abbraccia la creazione. Ecco il perché del nostro essere e fare Chiesa, comunità viva guidata e radunata dallo Spirito di Cristo, roccia salda e pietra angolare; ecco il perché del nostro essere e fare associazione, del nostro formarci insieme, del crescere accanto e condividere l’esaltante esperienza della fede, che ci invita a muoverci continuamente dalla vita alla Parola e dalla Parola alla vita.
Essere luce La seconda metafora è quella della luce. Rispetto alla prima ha sicuramente un’intensità maggiore: «Voi siete la luce del mondo». Senza la luce non si danno né colori né bellezza, non si vede la via né il mondo circostante. L’esperienza della luce appartiene così strettamente al nostro vissuto che ci è difficile pensare ad una situazione altra: quella cioè in cui il buio e la tenebra possano prendere il sopravvento. E se la luce è la condizione che ci consente di vedere e di orientarci, di contro le tenebre sono la condizione della cecità e dello smarrimento. La Bibbia infatti si apre sulla luce della creazione, alle parole di Dio: «Sia la luce» (Gen 1,3); e si chiude sullo splendore della luce di una nuova creazione e di una nuova Gerusalemme: «La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e sua lampada è l’Agnello. Le nazioni cammineranno alla sua luce» (Ap 21,23-24). Tra questi due poli Dio ha intessuto e continua ad intessere il cammino della sua luce, che diviene simbolo di vita, felicità, salvezza, pace, benedizione, presenza divina, giorno del Signore. Ma sin dalla creazione, la luce segna il limite di un’altra realtà, quella delle tenebre, colta nella sua opposizione alla realtà e al simbolismo propri della luce. Inoltre, nel racconto della creazione la luce diventa la realtà guida di tutta l’opera creatrice di Dio: ogni cosa “verrà alla luce”. Ecco perché da sempre la luce viene strettamente associata alla vita e opposta a tutto ciò che la ostacoli: le tenebre infatti diverranno luogo di morte e di perdizione, di totale assenza di Dio. Attraverso l’esodo la presenza luminosa di Dio guida e difende il popolo eletto e attraverso i profeti si fa annuncio di conversione e attesa di salvezza. Sul monte Sinai Dio offrirà un sentiero di luce scolpito sulla roccia nel dono della legge, la tôrah. Ed è interessante sapere che secondo l’etimologia ebraica, la radice ’ôr (luce, illuminazione) è anche all’origine del termine tôrah. Sarà infatti la letteratura sapienziale ad ampliare la semplice connotazione di legge, facendo della tôrah: l’insegnamento, la luce, la vita, la salvezza, la via, la giustizia, la sapienza. Il Salmo 119 sintetizza questo concetto nell’espressione conosciutissima: «Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino». Nella pienezza dei tempi la Parola creatrice di Dio, il Verbo del Padre, venne nel mondo e si fece carne. Egli era la «luce vera» (Gv 1,9), quella annunciata dal Battista, venuta ad illuminare ogni uomo; la luce attesa dal vecchio Simeone «per rivelarti alle genti» (Lc 2,32); e Gesù stesso dirà di sé: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12). Egli non venne per abolire la legge, ma per darne pieno compimento. Infatti, su un altro monte, quello delle Beatitudini, Gesù siederà sulla cattedra di Mosé ridonando la legge e annunciando il Regno di Dio. Egli porrà i suoi discepoli quale segno nuovo di luce: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Gesù può ancora essere luce e sale della terra attraverso di noi, permettendogli di giungere agli uomini e alle donne del nostro tempo che diversamente sarebbero privi di un senso che illumini e dia sapore all’esistenza. Questo ci aiuta a comprendere come, concretamente, dobbiamo poter essere sale e luce per gli altri. Principalmente non tenendo nascosta questa luce, non vergognandosi del Vangelo, vivendo intensamente il nostro rapporto con Lui, vera luce, e condividendo tale dono. Non si tratta, infatti, di un dono da custodire gelosamente o da nascondere: «non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro». La fede vissuta dal discepolo ha un ambito di visibilità e di luminosità, che si esprimono non solo con una testimonianza fatta di parole, ma anche attraverso una testimonianza silenziosa, ma pur sempre luminosa. Domandiamoci, allora, per chi dobbiamo essere luce? Gesù prima di estendere il raggio della nostra luminosità al mondo, ci lascia intendere di non trascurare un ambito a noi più prossimo, che fa seguito al secondo esempio da lui citato: quello della lampada accesa da porre non sotto il moggio, ma sul candelabro, perché faccia «luce a tutti quelli che sono nella casa». A volte può capitare di sperimentare che la nostra fede viva accanto a noi – come qualcosa di esterno – e che venga interpellata non appena superiamo la soglia di casa: come una dimensione che – se viene vissuta – a volte ha a che fare con il mondo esterno, ma raramente con «quelli che sono nella casa». Così capita che la nostra luce dentro casa giaccia sotto “il moggio” e fuori sia narcisisticamente manifesta. Ma Gesù aggiunge subito un ulteriore elemento: «così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Gesù ci parla di opere buone e della loro visibilità presso gli uomini. Forse i discepoli dovranno portare agli uomini una nuova filosofia? O un proprio pensiero, seppur illuminato? O forse una nuova dottrina? No, i discepoli dovranno irradiare la loro luce con opere vive, perché traducano concretamente quella fiamma con la quale hanno intessuto ogni loro fibra e che li alimenta. Le opere buone, dunque, sono la luce che abita il cuore dei discepoli di Cristo vestita delle varie attività e vicende umane; la verità che ha preso forma nella loro vita, quale fondamento della loro fede. Tali opere non stanno accanto alla fede, accompagnandola a distanza; e non sono nemmeno un merito personale, ma il tradursi di una vita cristiana veramente e attivamente vissuta, continuamente prorompente da quel cuore pulsante. La «luce del mondo» qui viene concepita nella sua irradiazione più ampia e più forte. Infatti, solo quella luce che produce incessantemente tali opere, affermandosi in esse, irradia e illumina veramente. Così, le ultime parole di Gesù servono ad escludere ogni pensiero di merito personale o di ricerca vanitosa della propria gloria: la luce che scaturisce da noi non va riflessa su noi stessi. Non dobbiamo splendere affinché gli uomini glorifichino la nostra luce, ma perché Dio, del quale Gesù ci partecipa la figliolanza, sia lodato e riconosciuto come Padre. La luce degli discepoli deve attirare lo sguardo e il cuore degli uomini oltre i discepoli stessi: alla fonte stessa della luce, al Padre di tutti. Questo è l’ultimo scopo e il motivo più profondo della vocazione dei discepoli: rivelare Dio e il suo Regno con tutto il proprio essere, con la carità irradiante dalla vita, con la verità espressa nelle opere.
Luce e missione: stranieri nella propria terra Ecco il compito che ci attende in questo ultimo anno che chiude il triennio associativo 2008-2011: portare il Vangelo negli spazi e nei tempi della vita umana. In modo particolare, saremo chiamati ad andare in missione, avendo a cuore l’edificazione del bene comune. Qual è lo stile del cristiano? Qual è il cuore del nostro agire da cattolici, del nostro fare azione cattolica? C’è indubbiamente un legame che mette in relazione il grande orizzonte della missione con il tema della luce che anima il nuovo anno associativo. E mi sembra opportuno evidenziarlo attraverso un testo di uno dei più grandi teologi del XX sec., il gesuita elvetico Hans Urs von Balthasar. Egli scrive a commento del brano evangelico di Mt che abbiamo commentato: «Io sono la luce del mondo, Dio dice, e senza di me non potete far nulla. E non esiste né luce né Dio accanto a me. Ma voi siete la luce del mondo, una luce adombrata e non falsa, e ardendo della mia fiamma voi dovete con il mio fuoco accendere il mondo. Uscite fuori e oltre fino alla tenebra estrema, portate il mio amore come agnelli tra lupi, portate la buona novella a coloro che se ne stanno rannicchiati nelle tenebre e nell’ombra di morte. Uscite con rischio e coraggio dall’ovile sicuro; un giorno io vi ho raccolti, quando agnelli sperduti, sanguinanti tra spine, vi ho portati a casa sulle spalle del Buon Pastore; ma ora il gregge viene disperso, viene allargata la porta della stalla: l’ora della missione è venuta!» (H.U. von Balthasar, Il cuore del mondo, Milano 2006, p. 26). All’inizio dell’ultimo anno del triennio associativo possiamo proprio dire che l’ora della missione è venuta! Ma direi di più, il momento storico che stiamo vivendo esige un rinnovato slancio missionario, in cui emerga con maggiore forza la vera identità del cristiano nella storia; in cui si viva con maggiore fiducia e speranza la scommessa di una santità laicale vissuta come responsabilità e come servizio per l’edificazione del mondo e della Chiesa. Infatti, il cammino formativo che ci è stato proposto ci ha gradualmente portati a vivere la missione quale luogo privilegiato dell’essere cristiani e della nostra fede. Essa fa del discepolo di Cristo un pellegrino e uno straniero nella propria patria (cfr. 1Pt 2,11), che è chiamato a tenere insieme armonicamente una doppia cittadinanza: terrena e celeste. Ciò è quanto abbiamo appreso nella Lettera a Diogneto, testo protocristiano che proprio in quest’anno ci è suggerito di riprendere tra le mani per la sua paradossale attualità. Infatti, sarà proprio la cittadinanza uno dei temi maggiormente connessi alla tematica sociale del bene comune, quale esigenza necessaria all’edificazione di una società altrimenti umana. Abbiamo la necessità di riscoprire come patria proprio lo spazio della fede, e lo spazio vitale della Chiesa con tutte le sue realtà di luminosa bellezza. Ma soprattutto di riuscire a comunicare e a testimoniare la Parola che salva, ad un mondo che è già cambiato e che ha bisogno di uomini e donne delle Beatitudini, che siano «sale della terra e luce del mondo».
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progetto: SoMigrafica 2009