PROVA DI ACCECATA SENTENZIOSITÀ
La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che condanna
l’Italia per l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, non
si basa di certo su argomentazioni nuove o approfondite, ma si limita a
ribadire il principio laicista, che vede in qualunque simbolo religioso
cui venga dato rilievo in un’istituzione pubblica un attentato alla
libertà religiosa e per quel che concerne le scuole alla libertà di
educazione. La sentenza richiama sommariamente, ma con una certa
precisione, le argomentazioni in base alle quali la magistratura
italiana, dopo qualche tentennamento, era giunta a concludere che nella
tradizione del nostro Paese il crocifisso non è un simbolo
esclusivamente religioso, ma culturale e civile: in esso si condensa
gran parte della storia italiana, in esso si riassume una sensibilità
diffusa e presente non solo nei credenti, ma anche nei non credenti. In
quanto icona dell’amore, della donazione gratuita di sé e della violenza
estrema cui può soccombere l’innocente, quando le forze del male lo
aggrediscono, il crocifisso è un simbolo universale, non confessionale.
Gli spiriti veramente grandi l’hanno sempre compreso: se non tutti
credono in Gesù come Cristo, nell’umanità sofferente dell’uomo Gesù,
appeso alla croce e che accetta il supplizio, dobbiamo se non credere,
almeno avere tutti un profondo rispetto, se non vogliamo ridurre la
convivenza tra gli uomini a un mero gioco di forze anonime e crudeli.
Tutto questo, evidentemente, non è stato percepito dalla signora Soile
Lautsi, la madre che pur di fare eliminare il crocifisso dalle aule, ha
iniziato (nel 2002) una lunga, complessa (e, presumo, anche costosa)
procedura giudiziaria, né è stato percepito dai giudici che alla fine
hanno accolto le sue ragioni. La vicenda giudiziaria potrà riservarci
ancora sorprese. Quello che non ci sorprende più, purtroppo, è
l’accecamento ideologico che sorregge questa vicenda, la completa
indifferenza per le ragioni della storia e della cultura, l’illusoria
pretesa che la mera presenza di un crocifisso possa fare violenza alla
sensibilità degli scolari e giunga ad impedire ai genitori di
esercitare nei loro confronti quella specifica missione educativa, che
è loro dovere e loro diritto. E non ci sorprende più, purtroppo, il
fatto che i giudici della Corte europea non percepiscano di agire con
queste loro sentenze contro l’Europa, contro il suo spirito, contro le
sue radici, rendendo così l’Europa stessa sempre meno 'amabile' da
parte di molti che, pure, ritengono l’europeismo un valore
particolarmente alto. Ancora: è sfuggito alla ricorrente e – cosa ancor
più grave – è sfuggito ai giudici che hanno redatto la sentenza che la
laicità non si garantisce moltiplicando gli interdetti o
marginalizzando le esigenze di visibilità della religioni, ma
impegnandosi per garantire la loro compatibilità nelle complesse
società multietniche tipiche del tempo in cui viviamo. La laicità non
prospera nella freddezza delle istituzioni, nella neutralizzazione degli
spazi pubblici, nell’abolizione di ogni riferimento, diretto o
indiretto, a Dio. Quando è così che la laicità viene pensata,
propagandata e promossa si ottiene come effetto non una promozione di
quello specifico bene umano che è la convivenza, ma una sua
atrofizzazione. La sensibilità religiosa, ci ha spiegato Habermas ( un
grande spirito laico) non è un residuo di epoche arcaiche, che la
sensibilità moderna sarebbe chiamata a superare e a dissolvere, ma
appartiene piuttosto e pienamente alla modernità, come una delle sue
forze costitutive: tra sensibilità religiosa e sensibilità laica non
deve mai istaurarsi una conflittualità, ma una dinamica di
'apprendimento complementare', alla quale non può che ripugnare ogni
logica di esclusione. Quanto tempo ancora ci vorrà perché simili verità
vengano finalmente percepite dai tanti ottusi laicisti, che pensano
ancora che sia dovere fondamentale degli educatori quello di indurre le
giovani generazioni a vivere «come se Dio non ci fosse»?
Francesco
d'Agostino
(Editoriale da
Avvenire del 4.11.2009)
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