Vincenzo Noto

 

 

Avvento 2009

 

IMMERSI NELLA LUCE

 

L’Attesa

 

1. Inizia una nuova stagione per la nostra fede: il tempo di Avvento. La liturgia ci accompagna ogni anno a maturare spiritualmente nell’attesa che ci prepara all’incontro con Cristo. Gesù è venuto e vive tra noi: dobbiamo percorrere la via giusta che ci porta fino a Lui, come quella notte santa fecero i pastori di Betlemme. Gesù verrà di nuovo come giudice alla fine del mondo: è necessario farci trovare svegli e impegnati nel compiere il nostro dovere, come quei servi fedeli, pronti ad aprire al padrone “quando torna dalle nozze” (cfr. Lc 12, 35-48); e stare attenti, senza “appesantirci”, perché “quel giorno non ci piombi addosso improvviso” (Lc 21, 34).

 

La Chiesa ci fa meditare, nell’Ufficio delle letture, una preghiera stupenda di S. Colombiano, della quale riporto una parte per metterci, fin dai primi giorni di questo nuovo periodo della nostra fede, in atteggiamento di riflessione orante:

«Quanto sono beati, quanto sono felici “quei servi che il Signore, al suo ritorno troverà ancora svegli”! (Lc 12, 37). Veglia veramente beata quella in cui si è in attesa di Dio, creatore dell’universo, che tutto riempie e tutto trascende! Volesse il cielo che il Si­gnore si degnasse di scuotere anche me, meschino suo servo, dal sonno della mia mediocrità e accen­dermi talmente della sua divina carità da farmi di­vampare del suo amore sin sopra le stelle, sicché ardessi dal desiderio di amarlo sempre più, né mai più in me questo fuoco si estinguesse! Volesse il cielo che i miei meriti fossero così grandi che la mia lucerna risplendesse continuamente di notte nel tem­pio del mio Dio, sì da poter illuminare tutti quelli che entrano nella casa del mio Signore! O Dio Padre, ti prego nel nome del tuo Figlio Gesù Cristo, donami quella carità che non viene mai meno, perché la mia lucerna si mantenga sempre accesa, né mai si estin­gua; arda per me, brilli per gli altri. Dégnati, o Cristo, dolcissimo nostro Salvatore, di accendere le nostre lucerne: brillino continua­mente nel tuo tempio e siano alimentate sempre da te che sei la luce eterna; siano rischiarati gli angoli oscuri del nostro spirito e fuggano da noi le tenebre del mondo»[1].

 

Rileggiamo insieme l’itinerario che la Chiesa ci chiede di compiere in questo tempo, dal luogo dove ci troviamo e durante le attività che ci occupano, fino a quella “mangiatoia” dove “giace un bambino avvolto in fasce”, il Salvatore, Cristo Signore (cfr. Lc 2, 12). È il cammino indicato per tutti, da fare avendo presente, fin dai primi passi, l’incontro finale e definitivo; un percorso che ci fa crescere verso quella maturità richiesta per “entrare nel regno dei cieli”: la statura adulta “dei piccoli”.

 

 

Viene per noi

 

2. Possiamo considerare il nostro viaggio verso Betlemme a tappe, indicate dai grandi incontri festivi domenicali di questo tempo.

 

Ci viene anzitutto richiamato il dovere di riconoscere il Cristo, Re dell’universo e il Signore della storia. “A Colui che siede sul trono e all’Agnello, lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli” (Ap 5, 13). L’«Amen» della nostra fede, porterà l’offerta della fatica e della gioia, sperimentate nel compiere con fedeltà i nostri quotidiani doveri; sarà un «Amen» capace di accogliere l’intero viaggio della vita e farlo diventare preghiera costante, silenziosa, capace di consegnarci consolazioni e speranza.

 

3. Torna alla mente l’esperienza mistica di S. Agostino, trascritta da lui stesso nelle Confessioni.

 

«Stimolato a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell’intimità del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto (cfr. Sal 29, 11). Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia, qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelli­genza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo. Direi anzi an­cora poco se dicessi che era solo una luce più forte di quella comune, o anche tanto intensa da pene­trare ogni cosa. Era un’altra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non stava al dì sopra della mia intelligenza quasi come l’olio che galleggia sull’acqua, né come il cielo che si stende sopra la terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo sotto di essa, era perch­é ero stato creato da essa. Chi conosce la verità cono­sce questa luce.

O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai sollevato in alto perché vedessi quanto era da vedere e ciò che da solo non sarei mai stato in grado di vedere. […] Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi den­tro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi  avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai in­franto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace»[2].

 

4. L’uomo che va crescendo nella maturità, acquistando sempre più chiaramente la capacità di saper “vedere, giudicare, agire” in maniera “generativa e responsabile”, dovrà sostenere i suoi passi con una fede di abbandono in Dio e di ossequio filiale e grato a Lui, perché tutto gli viene dalla grazia.

 

L’itinerario di crescita, dunque, inizia dalla contemplazione. Questa trasmette autorevolezza alla persona perché, la vita interiore costruita con un rapporto umile e gioioso all’Assoluto, ci fa superare la superficialità e la banalità, per attingere quel patrimonio di principi e di valori che si impongono da sé. I pensieri, i desideri, le parole, le azioni diventano per gli altri opera educativa. Si cresce, assimilando il bene testimoniato dagli altri e respirandolo nell’ambiente.

 

È comprensibile, d’altro canto, che il momento contemplativo della crescita non può ridursi a un’attività limitata nell’arco di una settimana. Sarebbe puerile il pensarlo. Il cammino liturgico, nell’offrire ogni anno alla nostra fede le motivazioni fondamentali del credo, richiama quelle dimensioni essenziali della vita cristiana, nelle quali bisogna costantemente esercitarsi, perché non possono mancare nell’ordinario vivere del credente.

 

L’invito a riscoprire il valore del silenzio, proposto nella lettera dello scorso anno[3] e tutto quanto è stato richiamato costantemente sulla preghiera, non devono essere considerati superati, ma sempre validi e attuali, come ogni realtà richiesta dal cammino ascetico che non ha mai termine nella vita.

 

 

Preparare la via

 

5. Una seconda tappa ci aspetta per vivere la fede nella speranza e con gioia. Le parole del profeta Baruc invitano a “rivestirci dello splendore della gioia che viene da Dio” (cfr. Bar 5, 1) e a guardare lo spettacolo della comunione da ogni parte (ib. v. 5). Per andare avanti non possiamo farci vincere dallo sconforto e dal pessimismo. Il Signore si impegna ad agire a nostro favore “con la misericordia e la giustizia”, per riportare la nostra vita “alla luce della gloria” (ib. passim). Gioia e speranze, necessarie perché il cuore accetti l’impegno di “conversione per il perdono dei peccati” (Lc 3, 3).

La “voce” che “grida nel deserto” e ci propone di “preparare la via del Signore”, ci indica il cambiamento spirituale da compiere, simile allo sbancamento di un terreno, per realizzare una strada agevole per l’incontro: “ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti, i luoghi impervi spianati” (ib. v. 5).

 

6. Riportando questa Parola nella vita privata e in quella delle nostre comunità, siamo fortemente richiamati: a colmare, con il perdono e l’accoglienza reciproca, quei vuoti di relazioni che determinano distanze insormontabili; a smussare quegli atteggiamenti che nascono da sentimenti di orgoglio o di alta valutazione di sé e di disprezzo per gli altri e per le loro azioni; a comportarci con semplicità e linearità per agevolare il dialogo; a rendere agevole il percorso delle quotidiane comunicazioni. Un programma di vita ricco di motivazioni e capace di farci crescere nella fede e nell’amore.

 

Una tappa importante per costruire quell’ambiente educativo che aiuta a cogliere negli altri le vere ragioni dei comportamenti e a riconoscere la priorità della persona e il dovere del rispetto di essa, sempre e in qualsiasi età.

 

Sono preziose le raccomandazioni dell’apostolo Paolo a Timoteo: “Non essere aspro nel riprendere un anziano, ma esortalo come fosse tuo padre; i più giovani come fratelli; le donne anziane come madri e le più giovani come sorelle, in tutta purezza” (1Tim 5, 1-2). Anche quelle dettate a Tito, hanno un elevato valore educativo: “Esorta ancora i più giovani a essere assennati, offrendo te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile” (Tt 2, 6-8).

 

Si educa e si edifica soprattutto con l’esempio, prima ancora delle raccomandazioni. La conversione richiesta dal cammino verso la luce ci impegna a rivedere noi stessi e a sognare un miglioramento dell’ambiente, della comunità e della società, partendo dal miglioramento personale. Quante barriere dobbiamo abbattere in noi prima di chiedere agli altri di togliere le loro; quale smussamento di orgoglio ferito dobbiamo compiere, prima di accusare i comportamenti duri del nostro prossimo; di quanta pace e di quanta luce che vengono dallo Spirito dobbiamo riempirci, per rimuovere “prima la trave dei nostri occhi”, per poi avvicinarci al fratello per aiutarlo a togliere “la pagliuzza dai suoi occhi”! (cfr. Lc 6, 39-42).

 

 

Fare bene ogni cosa

 

7. La terza tappa che ci avvicina sempre più alla luce è ancora la gioia: “Gioisci, figlia di Sion, esulta Israele; rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!... Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente…. Ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia” (Sof 3, 14-17).

 

La gioia richiesta si raggiunge con la normalità della vita. Facendo bene il nostro dovere e comportandoci con giustizia, rispetto e carità. Sono chiare le risposte date da Giovanni Battista a quanti, sentendolo predicare il battesimo di penitenza, gli chiedevano: “Che cosa dobbiamo fare?”. Ed egli: “Condividete le cose che possedete! Non esigete più del dovuto! Non maltrattate, non estorcete! Contentatevi di quanto avete!” (cfr. Lc 3, 11-14).

 

Per prepararsi bene, allora, non sono necessarie pratiche penitenziali eccezionali; soltanto svolgere bene e in maniera coscienziosa, il proprio dovere. La legalità al riguardo è la norma più elementare, ma la essenziale e fondamentale.

 

Camminando serenamente, nella verità e nella carità, la nostra vita quotidiana diventa il luogo e il tempo della nostra santificazione. Così possiamo raggiungere “la misura alta della vita cristiana quotidiana” (come ci richiamava Giovanni Paolo II) che si chiama santità.

 

 

Servire con gioia

 

8. La quarta tappa è quella della carità e del servizio. Affrettarsi, come Maria nel cammino verso la cugina Elisabetta, per consegnare speranza, per condividere il beneficio della grazia, per cantare insieme la nostra fede (cfr. Lc 1, 39-56). La pagina del Vangelo di Luca, descrive la gioia soprannaturale dell’incontro, tutta da scoprire. Ci rivela il compito della Vergine Maria nel piano della salvezza, l’azione santificante del saluto e del servizio nella carità, le condizioni interiori per essere pieni dello Spirito e per leggere, alla sua luce, il valore della presenza dell’altro, della grandezza dell’opera di Dio nello svolgersi della storia, lo stupore del cuore per i benefici elargiti dal Signore ai piccoli, ai poveri, agli umili e il modo come vivere nella lode la nostra preghiera.   

 

In questa pagina e in quella casa vi sono le persone e gli insegnamenti che indicano come vivere la vita “matura” da risorti e i segreti perché l’atmosfera delle nostre famiglie e delle nostre comunità sia “educativa” e faccia crescere per divenire “credibili” e “generativi”, capaci di “vedere” bene, “giudicare” rettamente, “agire” con generosità e prontezza.

 

L’esultanza avvertita in questa tappa che riempie il cuore, accresce in noi il desiderio di “andare fino a Betlemme”, come i pastori,  “senza indugio”, per “vedere l’avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Lì troveremo “Maria e Giuseppe e il bambino” (cfr. Lc 2, 15-19).

 

 

Grazia su grazia

 

9. Il Natale ci chiede di vivere questo tempo in profondità e in preghiera. I nostri giorni non possono essere sprecati e non devono scorrere nella superficialità. La nascita umana del Figlio di Dio ha reso ogni cosa intensamente “piena”, per la presenza dell’infinito nel finito, senza “frantumarlo”, rendendolo a sua volta “divino”. Lasciamoci, dunque, inondare dalla Luce.

 

Le parole del Prologo al Vangelo di Giovanni ci trasmettono questa verità, ci invitano alla contemplazione, ci comunicano tanta emozione da commuoverci profondamente.

 “Veniva nel mondo

la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

Egli era nel mondo,

  e il mondo fu fatto per mezzo di lui,

  eppure il mondo non lo riconobbe.

Venne fra la sua gente,

  ma i suoi non l’hanno accolto.

  A quanti però l’hanno accolto,

  ha dato potere di diventare figli di Dio:

  a quelli che credono nel suo nome,

  i quali non da sangue,

  né da volere di carne,

  né da volere di uomo,

  ma da Dio sono stati generati.

  E il Verbo si fece carne

  e venne ad abitare in mezzo a noi;

  e noi vedemmo la sua gloria,

  gloria come di unigenito dal Padre,

  pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 9-14).

 

10. Nei giorni del Natale non facciamoci travolgere dalla propaganda che ci sollecita a trasformare, un tempo prevalentemente religioso e di spessore spirituale, in un periodo di svago e di business. Ci ritroveremo svuotati totalmente. Ritagliamoci, invece, dei momenti per la nostra intimità spirituale e lasciamoci inondare dal mistero.

 

11. “Un bambino è nato per noi; un figlio ci è stato donato”, sentiremo il giorno di Natale (Is  9, 5). Vorrei poter avere il cuore della Vergine Maria o di una semplice mamma, per capire fino in fondo la dolcezza e la straordinaria bellezza di questa profezia e la commozione indescrivibile per essa. Dinanzi al mistero di “un bambino”, venuto per portare a noi la vita e di “un figlio”, affidato alle nostre cure per crescere, non si può rimanere insensibili. Vorrei chiedere a tutte le mamme, quale emozione hanno avvertita quando hanno saputo di avere un bimbo in grembo e dopo, quale contentezza, nel tenerlo in braccio!

 

In realtà, il Signore ha permesso che una simile esperienza potesse essere vissuta anche da chi “ascolta la parola di Dio e la mette in pratica”, entrando per questo nel rapporto intimo di parentela con lui, simile a quello di “fratello, sorella e madre” (cfr. Mt 12, 50).

 

È spaventoso pensare, in questa atmosfera di gioia, di stupore e di preghiera, quanti ancora chiedono e praticano l’aborto. L’insensibilità del cuore di una mamma o la freddezza di un operatore clinico è quanto di più orribile può farci concepire l’egoismo, la ricerca del piacere, il guadagno. Non so quando potrà tacere la voce supplichevole dei piccoli non nati che invocano il diritto di vivere e quando la mamma saprà dimenticare il grido «Ho ucciso mio figlio!» che la tormenta.

 

 

Betlemme e il Tabernacolo

 

12. Andando fino a Betlemme, i pastori hanno fatto l’esperienza di essere accolti nella “Casa del Pane”: “trovarono il bambino che giaceva nella mangiatoia” (Lc 2, 16). Quello che fu per loro l’esperienza di un rapporto intenso, ma esteriore, oggi a noi ci viene concesso viverlo sacramentalmente, perché quel Bimbo si è fatto per noi Pane; e si lascia mangiare. L’incontro con Cristo Eucaristia è più che una esperienza con Cristo nella “Casa del Pane”. Cristo stesso oggi è il Pane vivo disceso dal cielo. 

 

Betlemme e il Tabernacolo sono due scuole di vita impareggiabili. In essi si respira la grandezza dell’infanzia, la potenza di chi è disarmato, il candore della fragilità, la voce del silenzio, il canto dell’innocenza, la gioia della comunione. Dalla loro cattedra si coglie nel cuore la logica del Vangelo: dare la vita per amore.

 

L’esigenza evangelica di “diventare come bambini” e di stare in mezzo agli altri “come uno che serve ”;  “di bere il calice” della umiliazione e “ricevere il battesimo” della morte in croce, non sono richieste di facile accettazione. A Betlemme e nell’Eucaristia vengono affermate, insegnate e consegnate perché siano vissute. 

  

Il programma del cammino dei pastori “Andiamo fino a Betlemme”, lo possiamo ripetere con l’impegno di “andare fino Tabernacolo”. Lì sostare in adorazione, in ascolto, in atteggiamento di offerta, col cuore pieno di gratitudine e di canto. Nessuna parola potrà equiparare il linguaggio sublime e penetrante del silenzio.

 

Possiamo allora vivere pienamente il Natale con l’Eucaristia. Essa ci offrirà l’occasione di “rinascere di nuovo” e di compiere i passi pasquali del “morire e risorgere”, per crescere in maniera autentica, secondo la statura “di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4, 13).

 

 

Avvento di solidarietà

 

13. Ci prepariamo all’incontro con il Signore che viene, con il cuore attento alle necessità di quanti hanno bisogno di trovare un luogo di accoglienza. Sono tanti ancora tra noi, privi della possibilità di avere una stanza dove abitare. L’esperienza del Servizio di strada, già collaudato tra noi, fa sognare oggi la Caritas Diocesana di poter offrire la possibilità di accogliere sotto un tetto chi ne è privo. Perciò si fa promotrice di un progetto di assistenza; e invita tutti a dare una mano per la realizzazione di “questo luogo”. Insieme si possono compiere opere “grandi”, non per dimensioni esteriori, ma per valore e intensità di comunione. Gli altri, infatti, sono sempre fratelli di ciascuno, anche se non ne conosciamo la provenienza e la vita. La loro sorte ci interpella.

Pertanto, vi invito a riservare le offerte in denaro, di questo tempo di Avvento, per la realizzazione di questo “sogno” del cuore, perché abbiamo incontrato Cristo, fatto Bambino per noi.

 

Il segno concreto della solidarietà di tutti venga devoluto, come in analoghe circostanze, alla Curia Vescovile – Ufficio Amministrativo (c.c.p. 11102951), oppure alla Caritas Diocesana (c.c.p. 000013263959), indicando nella causale: Pro erigenda “Casa di accoglienza Diocesana”.

 

 

Saluto finale

 

14. “Andiamo fino a Betlemme” è l’invito che ci viene rivolto anche quest’anno dai più poveri di Israele, ricchi di sincerità e del desiderio di “vedere” attuate, la giustizia e la pace, con “gli avvenimenti che il Signore ha fatto conoscere loro”. Andiamo con loro per lasciarci incantare dalla semplicità e dalla dolcezza di Maria, la mamma di Gesù, dal silenzio e dalla prudenza di Giuseppe, dalla gioia spontanea e commossa, ritrovata nel volto e nelle parole dei più semplici. A questa scuola saremo “grandi”.

Lasciamo il fardello dei nostri pesi, prima di incontrare il Signore che salva. Con l’animo rinnovato, potremo riprendere il carico e lo sentiremo leggero, perché sapremo affrontare i problemi che ci assillano in maniera diversa, con più fede, con maggiore amore fraterno.

 

Formulo per tutti i miei più cordiali auguri e assicuro la mia preghiera, perché la riscoperta del dono della pace e la possibilità di saperla attuare nelle nostre realtà quotidiane (famiglia, lavoro, malattia, comunità), assicuri il vero benessere di vita desiderato. Vi accompagni la mia benedizione.

 

Acireale, 22 novembre 2009

                                                                                                                                              


 

[1] Istr. sulla compunzione, 12, 2-3; Opera, Dublino 1957, pp. 112-114 (martedì della XXVIII sett. p.a.).

 

[2] Dalle Confessioni, Lib. 7, 10, 18; 10, 27; CSEL 33, 157-163.255.

 

[3] Ripartiamo insieme senza perdere la speranza. Linee pastorali per gli anni 2008-2010.

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009