Onori di stato
a Placido Rizzotto
A 64 anni
dalla morte del sindacalista ad opera della mafia, Napolitano è voluto
entrare nelle piaghe della terra corleonese richiamando cittadini e
istituzioni all'unità. «Bisogna riscrivere la storia»
Spesso, in questa terra martoriata, la pietà non è di casa. Capita cosi
che un sindacalista della Cgil, Placido Rizzotto, venga ucciso 64 anni
fa, una sera del 10 maggio 1948, e sparisca nel nulla. Non sarà l’ultimo
caso, ma questo sindacalista fu ucciso da Luciano Liggio, per ordine del
boss del tempo di Corleone Michele Navarra. Le prime indagini furono
avviate da un giovane capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla
Chiesa. Nel settembre del 2009, all’interno di una foiba a Rocca
Busambra, vicino Corleone, sono stati ritrovati i resti, la cui identità
è stata possibile appurare grazie al lavoro del gabinetto di Polizia
scientifica di Palermo. I resti del cadavere ritrovato, furono infatti
comparati con il DNA di un parente di Placido Rizzotto e cosi è stato
possibile risalire all’identità del partigiano e del sindacalista.
Sessantaquattro anni di indagini e ricerche. Giovedì a Corleone i
funerali e la sepoltura. Era presente anche il presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano già a Palermo per il ventennale della
strage di Giovanni Falcone, della moglie e degli uomini della scorta.
Falcone e Borsellino e adesso Placido Rizzotto e Portella della
Ginestra, prima strage dell’Italia repubblicana, quando nel 1947 vi fu
una strage di braccianti. Undici restarono uccisi dalle raffiche dei
mitragliatori.
“Un cerchio che si chiude” ha detto Napolitano volendo cosi chiarire la
sua presenza non solo a Palermo, ma anche a Corleone per i funerali di
Placido Rizzotto e a Portella della Ginestra per ricordare quella
strage.
«Ci sono stai momenti in passato – ha detto il Presidente Napolitano –
in cui la violenza stragista ha colpito nei punti più alti: è giusto
tornare al punto di partenza, al punto in cui è iniziato tutto, Portella
della Ginestra, la Corleone di Placido Rizzotto. Cosi l’arco viene
chiuso. Era mio dovere venire qui per portare la solidarietà e la
vicinanza delle istituzioni repubblicane».
Quanto sia stata importante per Corleone, per la Sicilia e per l’Italia
tutta questa testimonianza del Presidente della Repubblica, penso lo
scopriremo nei prossimi anni, quando anche queste generazioni di giovani
avranno saputo compiere la loro scelta, non di sfuggire dalla piaga
della mafia e della illegalità, ma di entrarvi e prendersene carico. Il
ragionamento del Presidente è stato, a mio avviso, quanto di più moderno
si potesse fare in questo tempo: richiamare una unità che non distingue
– perché non le vuole distinguere – tra bandiere e appartenenze. Un
messaggio già percepito dai giovani ma che stenta ancor oggi ad entrare
nel mondo dei partiti.
Rizzotto aveva saputo ben interpretare il bisogno dell’Italia uscita con
le ossa rotta da una guerra anche fratricida. Anche lui, come tanti in
quegli anni, aveva fame di terra e fame di giustizia. Anche allora
questa “fame” fece paura al baronaggio, ai latifondisti e alla mafia che
li serviva. In quegli anni 36 dirigenti delle leghe e della camera del
lavoro furono uccisi . E poi la strage di Portella della Ginestra,
arresti, processi, intimidazioni…Ma il filo d’oro che collega la “fame
di terra e di giustizia” a Corleone riporta alla memoria un altro
concittadino di Rizzotto, Bernardino Verro, sindaco della città, ucciso
dalla mafia nel 1915. Nel 1893 Verro aveva fondato uno dei primi “Fasci
siciliani” e proprio a Corleone fu stipulato il primo contratto
nazionale di mezzadria. Cosi si spiega la violenza reazionaria della
mafia e dei latifondisti.
Il Presidente Napolitano, con la sua presenza, ha voluto dare il massimo
di onore a questa tumulazione dei resti di Placido Rizzotto avvenuta con
sessantaquattro anni di ritardo.
«Non passi mai più la mafia – ha detto nel suo intervento il nipote di
Rizzotto che porta il suo nome , “ il tentativo di cancellare la tua
memoria è fallito miseramente. Ma mi rimane un sogno: si deve riscrivere
la storia di questi uomini che si sono battuti per costruire una
Repubblica fondata sul lavoro, i diritti, la legalità. Chiediamo
giustizia per tutti questi sindacalisti e le vittime di mafia che ancora
non hanno una tomba».
Una nota stridente, va comunque registrata e riguarda l’omelia del
Vescovo di Monreale, mons. Di Cristina il quale, stranamente, non ha mai
citato la parola mafia. «Sono troppi sessantaquattro anni di attesa per
i funerali – ha detto nell’omelia Di Cristina – oggi non è solo un atto
dovuto ma un atto di culto, di rito cristiano delle esequie». Spiace
dover registrare questa omissione e non certamente per voler criticare
ma perché è stata una occasione perduta per la Chiesa di Monreale –
che ha Corleone come interesse pastorale – e per le centinaia di giovani
presenti che, invece, hanno saputo trasformare la cerimonia da semplice
rito delle esequie in un “rumoroso” e convinto rifiuto di tutte le mafie
e di tutte le violenze. Grazie anche all’impeto e alla passione civile
del presidente Napolitano. Nessun giudizio, quindi, ma una rammarico in
più in questa terra tormentata.
Roberto
Mazzarella
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