Gds.it titola
“OLTRE 30 IMPRENDITORI SICILIANI ESPULSI DA CONFINDUSTRIA”
con tanto di foto sorridente del presidente Lo Bello.
Commento velocemente questa notizia, perché ormai non c'è
limite all'indecenza, e ne siamo così assuefatti da non
farci più caso. Naturalmente in clima giustizialista
(“mandiamoli tutti a morte”), che si oppone a garantista
(“stragisti e politici? in fondo è brava gente") cosa vuoi
che sia? Ormai giustizia è essere il pesce più grosso di
tutti, è la giustizia del più forte, politicamente o
mediaticamente parlando.
La logica da parte dell'associazione degli industriali è
certo chiara, anche se non giustificante: c'è una carta
etica, se la rispetti sei dentro, altrimenti sei fuori. Ma
la dinamica di chi viene minacciato? Di coloro i quali
vedono il loro business andare in fumo con i capannoni in
fiamme? Che vedono le minacce alla famiglia ai figli? E le
percosse? Come plaudire all'abbandono di una vittima?
Lo Bello forse più sensibile dell'asetticità dell'articolo
puntualizza che se da un lato gli imprenditori di cui
diviene manifesta l'estorsione sono espulsi, dall'altro sono
accompagnati nell'effettuare la denuncia. Almeno questo!
Il problema a questo punto non sta più nel fatto, quanto nel
modo di dare la notizia e nella cultura di contrapposizione
che vede nelle vittime del racket estorsivo quasi dei membri
del clan. Come dire che una donna che viene violentata e non
denuncia il branco sia complice del crimine, quasi parte del
branco, e quindi da criminalizzare. Cultura da leghismo, da
piazza di contadini con le mazze e i forconi in cerca di
qualche strega. Gli imprenditori? Cornuti e bastonati.
Riccardo Incandela