Vincenzo Noto

 

 

LA POLITICA ED I CATTOLICI. CAPITOLO SEMPRE APERTO

 

Le Gerarchie cattoliche avvertono di tanto in tanto il bisogno di richiamare all’attenzione dei credenti la necessità di un maggiore impegno e di una più convinta coerenza in politica.

Questa volta la sollecitazione arriva dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana il quale parla di un “sogno ad occhi aperti” che ritiene possibile possa trasformarsi in realtà a condizione che i fedeli laici imparino a vivere “esercitandosi ai beni fondamentali della libertà, della verità, della coscienza” in un modo tale da indurre (addirittura) all’ammirazione di coloro che sono mossi dalla  logica della “convenienza di parte”.

La rivista Civiltà Cattolica ha recentemente pubblicato un sondaggio sugli orientamenti politici dei cattolici espressi in occasione delle elezioni politiche del 2008 e delle europee del 2009.

I risultati dicono che tra i praticanti (fedeli che partecipano alla messa domenicale, impegnati o meno che siano in attività parrocchiali) la maggior parte tende a collocarsi al centro o nel centrodestra, mentre tendono a collocarsi nel centrosinistra coloro che si dichiarano cattolici ma non praticanti.

Ma il dato più significativo a me pare l’elevato numero (in costante aumento) di coloro che si sono allontanati dalla politica, rappresentato in primo luogo dai non-votanti (passati dal 24,5% al 39,1%) - a dimostrazione che non hanno individuato punti di riferimento credibili -, ma anche da coloro che hanno confessato la loro insoddisfazione per l’azione politica dello schieramento a cui avevano aderito, a testimonianza di una crescente sfiducia che rischia di confinare i cattolici in ruoli marginali, anche se importanti, come ad esempio il mondo del volontariato e della solidarietà.

Nonostante ciò, comunque, gli intervistati restano in maggioranza (77%) contrari ad una formazione politica organizzata dei cattolici, convinti che oggi vi siano forze politiche in grado di rappresentarne i valori. Quando però si chiede se i provvedimenti a sostegno della famiglia – che com’è noto rappresenta per il mondo cattolico uno dei principali valori da tutelare – in questi due anni siano migliorati, il 73% ritiene che siano migliorati poco ed il 41% per nulla.

Dal quadro che ne viene fuori, ricavo l’impressione di un mondo, quello dei cattolici, incerto, diviso e disorientato. 

Occorre allora riflettere sulla “fragilità” di questa democrazia che, come sostiene Dahrendorf, sembra afflitta da un dilemma: come vivere in una mondo globalizzato che determina il trasferimento delle decisioni da ambiti politici ad ambiti tecnocratici, evitando i rischi di autoritarismo, ancorché non di totalitarismo, sempre in agguato quando i cittadini, ridotti al ruolo di spettatori di decisioni prese altrove, perdono la fiducia nella politica, compromettendo la vera democrazia che, com’è noto, si basa sulla possibilità di procedere a cambiamenti economico-sociali senza fare ricorso alla violenza, su una libera informazione dell’opinione pubblica e sull’equilibrio dei poteri. Questa condizione di “debolezza” di una democrazia che dopo la “caduta del muro” non riesce a mantenere la promessa di un autentico sviluppo umano e civile dell’individuo, secondo taluni favorirebbe altre forze, in primo luogo la religione che avrebbe così assunto un ruolo di supplenza nella soluzione dei problemi.

Al di là degli sterili attacchi dei “laicisti ad oltranza” che vorrebbero sostituire la religione (alias la Chiesa) con “equivalenti laici” come pure delle opportunistiche posizioni dei cosiddetti “teo-com” che auspicano una religione come “puntello” della politica, compito della Chiesa è di combattere quello che il Card. Martini in un suo libro ha definito come il più grave peccato per il mondo e cioè l’ingiustizia. In nome di ciò non deve stancarsi di interpellare le coscienze di credenti e non credenti, stigmatizzando, se occorre, ogni comportamento, anche in campo economico e sociale, che ritenga in contrasto con i principi ed i valori da essa proclamati e deve farlo nella Carità che è Verità, come ci insegna l’Enciclica di Benedetto XVI.

 

Salvatore La Mantia

 

 

Senza parole...

 

La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta... ma di come danzare nella
pioggia.

Era una mattinata movimentata, quando un anziano gentiluomo di un'ottantina di anni arriva per farsi rimuovere dei punti da una ferita al pollice. Disse che aveva molta fretta perché aveva
un appuntamento alle 9:00.  Rilevai la pressione e lo feci sedere, sapendo che sarebbe passata oltre un'ora prima che qualcuno potesse vederlo.  Lo vedevo guardare continuamente il suo  orologio e decisi, dal momento che non avevo impegni con altri pazienti, che mi sarei occupato io della ferita. Ad un primo esame, la ferita sembrava guarita:andai a prendere gli strumenti necessari per rimuovere la sutura e rimedicargli la ferita. Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se per caso avesse un altro appuntamento medico dato che aveva tanta fretta.             L'anziano signore mi rispose che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua  moglie.
Mi informai della sua salute e lui mi raccontò che era affetta da tempo dall'Alzheimer. Gli chiesi se per caso la moglie si preoccupasse nel caso facesse un po' tardi. Lui mi rispose che lei non lo riconosceva già da 5 anni. Ne fui sorpreso, e gli chiesi e va ancora ogni mattina a trovarla anche se non sa chi è lei? L'uomo sorrise e mi è la mano sulla spalla dicendo: ''Lei non sa chi sono, ma io so ancora perfettamente chi è lei. Dovetti trattenere le lacrime... Avevo la pelle d'oca e pensai: Questo è il genere di amore che voglio nella mia vita. Il vero amore non è né fisico né romantico. Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia.

 

Fabio Biundo

 

 

Non lasciarci

 

Non ho mai visto un angelo nascondersi né sotto terra né lassù in cielo. Tu, Gesù, sei l’uomo che ci fai vedere le meraviglie della terra e ci parli solo del cielo. Ci hai rivelato che Dio, tuo Padre, è così dentro di noi che ci dimentichiamo persino di esistere nel dubitare della sua stessa presenza in noi. Viviamo gran parte del giorno nella assoluta assenza di noi stessi. Come frenare un terremoto? Centomila persone morte in pochi minuti ad Haiti. Come governare la natura? E’ il dominio che squilibra il creato. Se mi rompi gli occhiali, io perdo i miei occhi. Da tempo i prepotenti hanno perso gli occhi della ragione. Le nubi stamani abbracciano di lacrime i campi di grano, le colline pettinate da ocre colore, i vigneti e gli oliveti. Leggimi stamani una fiaba perché il cuore oggi è senza una favola. Molti spendono la vita affacciati al balcone del potere. Preferiscono vivere fuori dall’anima. Io ho spezzato gli argini di ogni confine. Sono fuori del tutto. Così è l’estasi. Uscire fuori di sé. Arriccio il naso alle puzze del male. Quest’anno i terreni sputano sorgenti d’acqua. Troppi scrosci di fulmini. Non sarà mai però un nuovo diluvio. Tu, Gesù, hai sudato già quello universale delle lacrime di ogni persona. Una lacrima è sempre una sorgente per l’umanità. I poveri bevono lacrime e si saziano di pace. Tu, Gesù, non arrotoli la vita di nessun povero. Ancora oggi sento la tua voce:” Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi”. E’ dura la mente a comprendere il divino. Eppure è fatta per la sapienza. Ci piace la tua moltiplicazione dei pani e dei pesci. Continua ancora oggi per noi, Gesù. Ci piace un cieco che vede. Ci piace vedere uno zoppo che cammina. Ci piace stupirci del sangue che sgorga dall’eucaristia spezzata. Vogliamo vedere niente e tutto questo. Vogliamo vedere i miracoli nella materia che siamo senza sapere che tu sei visibile solo nello spirito. Tu sei riconoscibile solo nell’invisibile che è in noi, visibile solo nell’amore. Non ci soddisfa l’invisibile. Siamo fatti di occhi. Siamo fatti di braccia. Siamo fatti di testa. Non ci soddisfa l’invisibile. Eppure quando prende il corpo ci infiammiamo di cielo. Siamo rigidi, Gesù, dinanzi ai doni della tua Parola. Non ci scuote neppure lo Spirito. Tu sei, l’oggi di Dio in me, in noi. Oggi si compie il tuo perdono. Oggi si compie la tua giustizia. Oggi si compie la tua beatitudine. Oggi si compie in noi la tua divinità. Troppo ho camminato per raggiungerti invano. Troppi giorni si sono spenti senza la tua presenza. Troppo ho vagabondato nel silenzio inquieto della mente. Troppo buio hanno squarciato i miei occhi. E sono giunto al fuoco ma non è mia la fiamma che vi luccica dentro. Tu sei la luce. L’anima si nutre di luce. I santi mi stupiscono di questo splendore. Troppe volte nelle notti oscure delle tenebre ho innalzato l’orcio del mio cuore spento di speranza. E tu, condottiero della luce, puntualmente me l’hai riempito con il tuo olio. Troppi giorni, troppe notti ho sognato nella città del mio dolore. Tutto ciò che mi sono detto in questi lunghi anni del dolore non posso esprimerlo. Troppo pesante è il suono. Troppo ardito è il pensato. Persino il mio capo rabbrividiva dinanzi a certe intuizioni. E’ troppo alta la tua rettitudine e io non so sempre perdonare. Il perdono è l’ala maestra per i voli d’aquila. Io non volo neanche un centimetro. Neanche una papera sono. Frequento il mio gatto che mi insegna a volare come un gabbiano. Non posso esprime il segreto più profondo delle mie lacrime. Non posso dire l’amarezza delle notti. Tu sei, Gesù, la chiarezza di ogni sguardo su sovrumane trasparenze. E ora che mi stai facendo uscire dalla notte molti mi trattengono e mi dicono:” Non uscire, non lasciarci ancora”. Quante volte ho lasciato il silenzio. Come lasciare il silenzio? Come lasciare i giorni del dolore. Come lasciare la luce che mi ha generato al tuo silenzio? “Non lasciarci, qui hai visto volare i tuoi sogni. Non lasciarci, qui hai sposato il pianto e la gioia. Non lasciarci, qui hai celebrato, per prima volta, i giorni dell’eterno. Non puoi andare. Non sei ospite della tua città. Non sei straniero delle tue notti. Sei la stessa ala del pianto. Sei la stessa ala della gioia. Ti sei sposato a noi e non puoi divorziare dalla casa del silenzio. Non lasciare che il nostro cuore manchi del tuo palpito. Non lasciare che i nostri occhi abbiamo fame del tuo viso. Non lasciare che il tuo soffrire manchi al nostro pane. Non lasciarci. Non si separino le onde delle tue lacrime dal nostro mare. Non diventi solo memoria il canto della tua libertà. Non diventino memoria i tuoi giorni passati tra noi. Persino l’ombra dei tuoi momenti tenebrosi è stata per noi luce che ha illuminato la nostra disperazione. Non te ne andare. Abbiamo amato il tuo pianto e rischiamo con il tuo andare di non amare. Ti abbiamo amato senza parole. Non te ne andare, rischiamo di rimanere muti, persino senza dolore. Non te ne andare. Abbiamo amato senza conoscere il distacco. Rischiamo di morire se ci togli il tuo fiato. Tu sei tutta la nostra città. Non puoi svuotarci di senso. Non puoi svuotarci di esistere. Non puoi svuotarci di cadere nel nulla. La città del silenzio si spegne senza le tue notti oscure. Tu non puoi andare incontro a un orizzonte che non finisce mai. La città del silenzio non è la rassegnazione. Non si può lasciare ciò che hai sognato. Non puoi non rispondere alla voce dello spirito che ti ha parlato nei segreti delle notti. Eppure mi viene incontro ancora una volta la tua voce, Gesù:” E’ tempo di andare. Prendi il largo. La tua nave è pronta. Tu la deve salpare. Va’ profeta della città del dolore. Entra nelle vampe che ardono gioia. Va’ profeta della giovinezza. La giovinezza è la primavera del dolore che tu hai sbocciato persino nella notte. Va’ profeta della luce. La città del silenzio ha bisogno di questo estremo tuo dono: l’offerta della tua vita. La croce è il tuo letto. Va’. Non mancare a questo essenziale appuntamento. Va’, perditi nell’orizzonte dello spirito, che non finisce mai.

 

Paolo Turturro

 

 

Fermati un attimo, Gesù 

 

Ho coronato di luce i miei giorni. Sono entrato nel grembo di Dio e mi ha partorito le sue beatitudini. Ho letto negli occhi della gente le pagine del tuo vangelo. Il dolore è il fiato di Dio a cui nessuno può resistere. Da dieci anni mi hai effuso il dono delle lacrime, amare agli occhi della gente ma in te sono rugiada che fa germogliare grazia nella mia carne. Attende Domine. Non fuggire. Non andare così in fretta. I tuoi passi sono fulmini. Ti vedo sempre correre, sempre più in fretta. Attende Domine et miserere, quia peccavimus tibi. Oculos nostros sublevamus flentes. Attende Domine. Come lodarti nella fretta. Come riconoscerti nel passare veloce dinanzi alle nostre porte. I nostri occhi sono miopi dinanzi alla tua grazia. Attende Domine. Non andare oltre il tempo. Noi non capiamo niente. Non andare oltre i nostri pensieri, noi nell’infinito ci smarriamo. Non andare oltre il nostro sguardo. Vediamo limitati e appena solo vicino. Ti posso confidare i drammi della gente. Ti posso confidare i dubbi su di te, sulla tua croce, sulla tua risurrezione? Attende Domine. Fermati un attimo. Parliamone. La gente non sopporta che Tu, Dio, possa essere un condannato a morte. Neanche agli innocenti io riesco a spiegare che tu hai accettato la morte per distruggere la morte. Qui la morte c’è ancora e impera con cattiveria. Qui le condanne ci sono ancora e schiacciano solo gli innocenti. E tu mi assicuri che la morte è la più grande libertà. Libertà dal tempo. Libertà dagli intrighi. Libertà dal peccato. Libertà dalla carne. Libertà dall’odio. Libertà dalle guerre. Libertà dal nulla. Libertà dal non sapere. La morte è la chiave per aprire il cielo. La morte è il parto per nascere nell’eterno tuo divino. Ma la gente non vuole sapere del cielo. Tu ci hai incantato delle meraviglie della terra e poi ci parli solo del cielo. Neanche i sofferenti comprendono che la tua croce è il nostro letto d’amore con te. Lassù sulla croce abita solo il silenzio e nessuno è capace di spiegare le scelte di Dio. Eppure ci affermi solennemente, da lassù, che tutto hai compiuto: la salvezza, la perfezione, la divinità, la redenzione, la predestinazione, l’eternità nella carne di ogni vivente. Tutto hai compiuto e che lassù hai solo il compito di consegnare tutto a tuo Padre, nella consegna del tuo stresso spirito. Nelle tue mani, Padre, consegno il mio spirito. Tuo e nostro spirito. Consegna mirabile. Consegna sicura. Consegna per tutti. Nessuno escluso. Consegna perfetta. Consegna che metti persino in dubbio le clause della tua stessa chiesa. Fermati, ascolta, Signore. La caverna del male ci inabissa nella disperazione. Anche la madre più semplice si perde nel fare il bene. No, non conviene essere buoni. Chi fa del bene, riceve del male. Eppure io faccio più fatica a fare del male ma la gente non crede più alla solidarietà verso l’altro. Chi fa del bene, riceve sberle in faccia. Così dice la gente. E tu che dici? Come la metti con questa nostra situazione? Non darmi, ti prego, la solita risposta che in cielo troveremo la ricompensa. Nella notte più oscura tu sei sempre l’autore della luce. Illumina oggi, nei giorni del nostro tempo, una motivazione valida. Oggi e non domani. La gente crede solo al tempo. Del resto tu ci hai creato le ore, i giorni solo per poterti qui incontrare. Il bene è la saggezza del dormire in pace, di dormire tranquillo nelle vostre notti fatte di tempo. Forse, Signore, ci siamo convinti  che vivere onesti fa bene al cuore. Tuttavia molti gridano nella rabbia che i buoni li prendi subito e che i malvagi restano più a lungo a fare del male. Che tremenda storia è questa anche per te che hai fatto bene tutte le cose. Forse ancora nel silenzio mi darai risposta al dualismo del bene e del male. Io non so capire niente. Il capire il divino è assurdo per noi, qui sulla terra. Io sono certo però che tu sei il sommo bene e che qui sulla terra ti sei fatto vincere dal male per sconfiggere qui tra noi il sommo male. Che terribile il male. Come può sussistere dinanzi al tuo volto, Signore? L’angoscia però che assilla i nostri giovani è il nulla. L’abisso del nulla affascina anche i più sapienti della parola e dell’arte. Nel vortice del nulla è dire nulla smarrirsi. E tu vedi uomini smarriti nella filosofia, nell’ingegno delle stesse intuizioni. Smarriti artisti nelle loro opere evanescenti. Tante vie per incontrarti e il nulla ci dà una risposta sicura che tutto viene dal fato e che tutto è una pura illusione della mente. La mente non può che pensare il nulla. Il niente è la voce che ci quieta. Il niente è la situazione che annienta ogni nostro dramma. E tu nella luce del nuovo giorno mi alzi in piedi. E mi addolcisci, vedi se una molecola di un solo filo d’erba, così ricamata, così splendida nella sua architettura, possa scendere dal nulla. Vedi se l’arcobaleno dopo le bufere così luminoso di colori possa splendere dal niente. E vedi dentro di te se lo spirito che ti innalza su voli d’aquila possa  planare nell’abisso del nulla. Il nulla altro non è che l’ansia della ricerca dell’eterno, l’ansia della ricerca dell’assoluto fatto da meraviglie continue da stupirsi. Il nulla è l’assoluta cieca via che porta a me. La mente dei vostri cuori è fatta per amarmi e incontrarmi. L’amore è l’unica via che non può essere accecata dal nulla. Solo l’amore non si smarrisce nel cercarmi anche sulla croce più lacerante. A tutti do la forza di salire sulla sapienza della croce. Tuttavia, Signore, il calvario, qui sulla terra, è il capolavoro del fallimento. Non ci piace, Signore, un Dio fallito. Non ci piace, Signore, che anche tu debba morire come noi. La risposta non è la croce ma ciò che attraverso essa si scopre. Il tempo non può vedere ciò che la croce spira nel suo letto d’amore. Guarda in alto. Alza gli occhi al silenzio e non parlare dinanzi all’eterno, anche il fiato della terra annebbia il divino che spira dalla croce di ogni uomo. Non so dire nulla dinanzi alla tua sapienza di scegliere qui sulla terra solo il tormento e la bufera del sangue. Io confido in te, Gesù. Per quanto io mi inabissi nell’oceano del sapere io resto sempre senza sapere. Resto senza nulla, anzi non esisto, se non ci sei tu. Fermati accanto a me. Sai facciamo così, se vuoi vieni ad abitare per sempre in me, o meglio spezzo l’eucaristia ed entro per sempre dentro di te.  E’ questo pane che mi apre la sapienza nella carne povera di idrogeno e di ossigeno divino. Finalmente un buon appetito. Non aprire tutto il cielo però, Signore, perché altrimenti io mi smarrisco ancora. Un po’ alla volta è la quiete del cuore. Oltre non sa andare. oltre non sa amare.

 

Paolo Turturro

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009