Vincenzo Noto

 

 

Il Digiuno e la mortificazione interiore

 

Oggi, mercoledì delle ceneri, primo giorno di digiuno.

Di certo più facile scriverne che farlo, anche contravvenendo al segreto che Gesù in qualche modo impone ai suoi discepoli. Non è facile, ma il problema non sta tanto nell'affrontare i morsi della fame, quanto mia madre che, per evitare che il suo amato figlioletto di 26 anni e 90 kg abbondanti potesse rimanere senza il corretto apporto calorico, aveva preparato il pesce! Capirete come questo alimento nella casa di una pensionata è ormai un bene di lusso! Inoltre, oggi, come quasi ogni giorno ormai, ho avuto conferma di come Dio aiuti coloro che si impegnano a compiere la Sua volontà. La mia ragazza mi prende sempre in giro perché una-due ore prima dell'ora del pasto comincio a dire: ho fame!Proprio Oggi che a pranzo non ho toccato cibo, invece, ho sentito i morsi della fame per soli 20 minuti nonostante sia stato in giro per la città tutto il dì. Anche ora (21:00 pm) che sento gorgogliare lo stomaco che ho riempito con un poco di pane, quattro noci (potevo evitarmele, lo so!) e tanta acqua sono tranquillo, un po' stanco, ma niente di straordinario.

 

Quale significato attribuire al digiuno di oggi? Cosa se ne fa Dio della mia privazione?Cosa può offrire l'uomo a Dio? Il salmo ci ricorda che non se ne fa nulla delle offerte materiali: sangue, montoni, capre, incensi... perché tutto ciò che ha creato è nella sua disponibilità. Ciò che Dio veramente vuole è la nostra conversione a Lui, la nostra disponibilità a Lui. Tutto ciò che è nostro, Dio stesso ce lo da. Solo una cosa che è nelle nostra disponibilità ci appartiene realmente: è la nostra sofferenza, è la nostra privazione. Forse è per questo che digiuno ed astinenza sono diventati strumenti religiosi, vie d'ascesi per raggiungere Dio. Anche di questi Dio non se ne fa nulla, ma sono segni di sottomissione ed umiliazione. Dio ci chiama ad essere in comunione alla pari con lui attraverso una santificazione ed una divinizzazione che passa però, oltre che dal riconoscimento dell'infinita distanza che ci separa da Lui, per una rinuncia a sè. Questa non è solo funzionale a togliere le “impurità” ma diventa fondante. Gesù stesso è il primo totalmente sottomesso alla volontà del Padre, il primo a soffrire, non un semplice digiuno due volte a settimana, ma l'umiliazione più degradante nel tradimento, nella tortura, e nella morte da infame. Una volontà che non è  masochista, macabra ed altamente ingiusta, ma altissimo atto d'Amore che porta la salvezza all'uomo.

 

Così anche il digiuno non è semplice obbedienza, sottomissione, umiliazione, sofferenza ingiusta ed ingiustificata cui l'uomo deve sottoporsi, bensì ascolto e risposta ad una volontà di salvezza, che si ottiene in modo multiforme. Infatti, per quanto riguarda  il digiuno, la Chiesa insegna tre gradi di beneficio salvifico: il primo grado è l'esercizio di volontà: la persona si autoeduca ad essere se stessa, ad essere capace di superare le proprie necessità immediate per ottenere un valore, un  bene più alto. Questo era più semplice comprenderlo un tempo, quando non c'era il frigorifero, ed il cibo bisognava comprarlo fresco ogni giorno. Il digiuno era dunque sempre accompagnato dalla carità: quanto la famiglia risparmiava in quel giorno ( un tempo sicuramente buona parte della paga giornaliera) la si dava ai poveri. In questo modo la pratica ascetica del digiuno diveniva comunione con i fratelli bisognosi e la privazione dunque non era e non è fine a se stessa ma diventa amore per i fratelli, caricandosi di significato sia etico (dovere), ma sopratutto salvifico (essere caritatevoli). Questo è il secondo grado. Il terzo è sicuramente il più mistico, l'uomo credente lo ottiene semplicemente con la volontà di offrire la propria sofferenza d'amore come partecipazione  a quelle che Cristo patì sul legno della croce, ed in questo, partecipare alla volontà di salvezza universale del Padre.

Con una cosa così semplice come il digiuno, ma  anche con ogni penitenza esteriore ed ogni mortificazione interiore, ognuno di noi può imparare ed essere capace di farsi pane spezzato come Cristo, per tutti, specie per i poveri; ed essere unito a Dio nell'Amore e nella volontà di salvezza per il mondo, senza levare scudi ed indire crociate contro l'infedele e l'ateo, ma prendendo la croce di Cristo e di tutti i poveri, materiali e non solo.

Concludo con due brevi frasi che traggo dallo studio che ho fatto tempo fa su “Cammino” di S. Josemaría Escrivá:  “Che poco vale la penitenza  senza la mortificazione continua!”(n.223)

“Quella parola ben trovata, la battuta che non uscì dalla tua bocca; il sorriso amabile per colui che ti annoia, quel silenzio davanti ad un'accusa ingiusta, la benevola conversazione con i seccatori e gli importuni; quel non dare importanza, quotidianamente, ai mille particolari fastidiosi ed impertinenti delle persone che vivono con te... tutto questo, con perseveranza, è davvero solida mortificazione interiore. (n. 173)”

Insomma mortificazioni interiori e penitenze sono sempre espressioni di una conversione a Dio che passa per la scelta di un sacrificio d'amore  per Dio e per il prossimo, come vuole tutta la tradizione ebraico-cristiana.

 

Riccardo Incandela.

 

 

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009