«C'è da
purificare l’aria», dice il presidente della Cei. E non è solo
una frase che fa effetto e lascia un segno forte in pagina e
nella mente, ma un’espressione profonda che interpreta il grido
angosciato e speranzoso che si alza in tanti modi diversi dalla
società italiana. È un programma essenziale e inevitabile nel
tempo di crisi che stiamo vivendo. È una chiamata alla
generosità e alla responsabilità rivolto a coloro che –
nell’azione politica, nella polemica e nella stessa difesa di sé
– sono tenuti a mettere avanti a tutto il bene concreto e
l’immagine complessiva del Paese. Ed è la rinnovata, amara e
ampia sottolineatura dell’imporsi di una grande «questione
morale», che riguarda l’esemplarità – o meglio la
non–esemplarità – della condotta privata e anche pubblica di chi
ricopre importanti incarichi politici e parlamentari (a
cominciare dal premier in carica e da altri personaggi di primo
piano di maggioranza e opposizione), ma non si esaurisce qui.
Comprende, infatti, altri gravi e perduranti scandali: dalla
corruzione nella pubblica amministrazione e negli enti locali ai
«comitati d’affari» che puntano a pilotare decisioni e nomine,
dall’evasione fiscale (vero «cancro sociale» che umilia gli
onesti che invece andrebbero «premiati») al discredito
generalizzato in cui è caduta praticamente tutta la
rappresentanza politica.
«C’è da purificare l’aria», dice dunque il cardinale Angelo
Bagnasco, aprendo i lavori dell’ultimo Consiglio permanente
dell’episcopato italiano nel 2011. E, prima e dopo
quell’esclamazione, le sue parole proiettano le istantanee di
un’Italia provata, persino «disamorata» di sé, e incapace di
darsi equilibrio (negli stili di vita come nella sua
demografia): una grande nazione che ha tanto da dare, e può
farlo, interpretando al meglio il ruolo che le spetta in un
Occidente che comincia, forse, a scoprire di non poter
continuare a dissipare se stesso e la propria cultura e «a
vivere al di sopra delle proprie possibilità». Delineano, quelle
parole, la maschera di un’Italia illusa e snervata dai radicali
cantori di un «individualismo esasperato e possessivo», una
maschera ghignante che non riesce a cancellare, ma si sforza di
sfigurare con accuse senza garbo e senza verità, il volto vero
di chi lavora per tenere vivi – con saggezza antica, fatica
crescente e cristiana tenacia di luoghi e opere di bene – la
solidarietà e lo spirito comunitario. Sintetizzano con lucidità
e passione, le riflessioni del presidente della Cei, le
conseguenze di una crisi economico-finanziaria vissuta (come
quasi solo gli uomini di Chiesa e i cattolici impegnati ormai
sanno fare) tra la gente e dalla parte della gente di questo
nostro Paese che è porzione significativa di un’Europa e di un
mondo e che continuano a non darsi regole, procedure e
istituzioni per controbilanciare le «dispotiche» pretese dei
signori della speculazione irresponsabile e rapace.
«C’è da purificare l’aria», dice Bagnasco. E lo fa da vescovo
che non può e non vuole farsi intimidire da chi non ascolta la
Chiesa ma, poi, le intima di «pronunciarsi» ad personam
– come se avesse taciuto e tacesse – sui comportamenti e sugli
stili di vita di chi riveste ruoli pubblici e, in particolare,
del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. E non si limita,
il presidente della Cei, a ricordare il già detto in diverse
solenni occasioni, richiamando a misura e sobrietà, a disciplina
e onore, ma invita tutti a «non cercare alibi» nella forma di
lamentele ed elucubrazioni incongrue o di vagheggiate e
improprie ingerenze. Sta su un terreno proprio e solido, e
scandisce: «Forse che davvero è mancata in questi anni la voce
responsabile del Magistero ecclesiale che chiedeva e chiede
orizzonti di vita buona, libera dal pansessualismo e dal
relativismo amorale?». Perché nessun «equivoco può annidarsi» su
un punto fondamentale: «I comportamenti licenziosi e le
relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono danno
sociale a prescindere dalla loro notorietà».
Già, gossip mediatico–giudiziario o non gossip
mediatico–giudiziario. E quelli che solo con lo strumento di
quel gossip (a sinistra) e per il dilagare di quel gossip (a
destra) mostrano di indignarsi, sappiano che chi vive da
cattolico è più indignato di tutti loro, ma non è affatto
rassegnato (o anche solo disposto) ad accodarsi agli acuti del
moralismo amorale o ai cori a bocca chiusa del non è successo
niente.
«C’è da purificare l’aria», dice il cardinale presidente della
Cei. E aggiunge che vede e sente come dal «vivaio» del laicato
cattolico energie buone e forti già operanti in campo culturale
e sociale tornino a farsi intelligentemente e concordemente
disponibili per una «interlocuzione con la politica». Non sente
e non vede «nostalgie», il cardinal Bagnasco. E neanche noi. Ma
segnala che ci sono valori fondamentali che uniscono cattolici e
non, e che a partire da lì si costruisce la risposta umana e
umanizzante all’ingiustizia a molte facce della crisi economica
e politica che ci affligge tutti. C’è un gran lavoro da fare.