Vincenzo Noto

 

 

AD ANTANANARIVO: PER RISUSCITARE LA SPERANZA

 

 "Ciò che l'occhio ha visto il cuore non dimentica", recita un proverbio del Madagascar. Terra stupenda, paesaggi incantevoli, mari impreziositi da coralli, foreste vergini. Ma la popolazione è ferita da tutti quei mali che  affliggono pure il continente africano. Mali accentuati dalle immigrazioni asiatiche – particolarmente indonesiane – che hanno creato una cultura basata
sicuramente sul rispetto della persona, ma che al tempo stesso ha dato vita a personalità
estremamente enigmatiche e riservate, restie a mostrare quella povertà che
sembra offendere la dignità umana. Forse, il turista non vede la miseria di questo popolo.

L'ha ben vista padre Pedro Opeka, nato in Argentina nel 1948 da una famiglia d'origine slovena. L'ha vista e gli ha ribaltato la vita: lui, missionario Lazzarista – incaricato della formazione dei religiosi della sua Congregazione –, sentendo compassione per il popolo malgascio, ha lasciato la  certezza del convento per far risuscitare la speranza negli ultimi, nei
miserabili, nei mendicanti di Antananarivo. Egli ha fatto sua l'intuizione più bella del fondatore
della sua Congregazione, S. Vincenzo de’ Paoli: "Solo se tu ami, il povero ti perdonerà per il pane che gli dai".Nel 1989 fondò un'associazione il cui nome, "Akamasoa", significa "I buoni amici" o "Gli amici fedeli e sinceri".  Suo obiettivo: ridonare una dignità umana ai più poveri, a quanti vivono sulla strada, grazie ad un’abitazione decente – da costruire con il contributo dei poveri stessi –, alla scolarizzazione obbligatoria dei ragazzi e ad un lavoro remunerato. Da allora, padre Pedro ha aiutato più di trecentomila poveri a riabilitarsi: circa ventimila attualmente vivono nei diciassette villaggi che l'Associazione ha realizzato, con circa tremilacinquecento case. I villaggi hanno scuole, mense,  dispensari e cantieri che garantiscono il salario a oltre tremila lavoratori. Gli altri lavorano in città, in modo che con il loro salario, un po' alla volta, riscattano la casa che li ospita, finché questa diventa di loro proprietà. Dopo una lunga celebrazione eucaristica, nella festa della beatificazione di Giovanni Paolo II, padre Pedro concede un'intervista.



Padre Pedro, come sei arrivato qui?

 

 Mi ha portato qui la Provvidenza. Se avessi chiesto il permesso ai miei superiori, me l'avrebbero negato. Ho cominciato a lavorare con i più poveri e quando la mia Congregazione ha visto quanto stavo realizzando, non ha potuto fare altro che approvare quanto è nello spirito di S. Vincenzo de’ Paoli, pioniere dell'evangelizzazione dei più poveri. Fin dall'inizio del mio impegno in questo luogo ho incontrato tante difficoltà, ma mi sono sempre sentito sorretto dalle parole di Giovanni Paolo II: "Non abbiate paura. Spalancate le porte a Cristo". E Cristo io lo vedo nei più poveri dei nostri fratelli. In ventidue anni sono riuscito a strappare dalla strada più di diecimila ragazzi, che ora frequentano regolarmente una scuola. Per questo rendo grazie al Signore.

 

Con quale spirito affronti il tuo impegno con i poveri?

 

S. Vincenzo de Paoli diceva che, se tu stai pregando e senti che qualcuno bussa alla tua porta, devi lasciare Dio per Dio. Non si può seguire Dio senza amare i poveri. Noi siamo una vera Chiesa di Cristo solo quando stiamo in mezzo ai poveri. Verso di loro nutro un grande senso di riconoscenza, perché so che sono stati loro a convertirmi a Cristo. Sono stati loro a rendermi più semplice, più vero, più autentico.


 E' bello scrivere articoli e poesie sui poveri, ma viverci sempre accanto…


Sì, i poveri mentono, rubano, imbrogliano, ma sono loro il Cristo e da Lui,da loro attingo la forza di cominciare sempre da capo. Non bisogna, inoltre, sottolineare troppo i lati negativi del convivere con loro. Ci sono anche tante soddisfazioni, come quelle che provo quando i ragazzi mi  corrono incontro e mi chiamano "Padre", coscienti di quello che dicono, perché mi considerano veramente come un papà.


 Da quello che hai appreso dai poveri, che cosa ritieni importante trasmettere alla Chiesa malgascia e in particolare ai preti?


L'essenzialità, da intendersi come la capacità di vivere il Vangelo con "l'intelligenza del cuore". Nel Vangelo c'è una forza che non dipende dalla saggezza umana, ma dalla follia della croce: "Quando sono debole, allora sono forte". Come spiegarti questa realtà? Non ci sono dimostrazioni valide, né scienza  teologica: è questione di sensibilità e di una capacità di  vivere Cristo come unica, vera forza.


 A quale metodo ricorri per ridare dignità ai poveri?


Ricorro all'arte di amalgamare il lavoro alla festa. Dalla mia famiglia ho appreso la gioia di credere e l'importanza di essere seri nel proprio lavoro. Ho imparato che la vita deve essere una festa. Ma oltre la festa c'è il lavoro. Lavoro che aiuta ad apprezzare sempre di più la festa. Mi sforzo
di far capire l'importanza di sposare lavoro e festa. Ai poveri insegno che il lavorare è una preghiera. Se s’impegnano seriamente a lavorare durante tutta la settimana, possono poi sperimentare come diventa vera e bella la preghiera eucaristica domenicale che dura oltre tre ore ed è molto gioiosa, perchè in essa confluiscono le gioie e i dolori di tutta la settimana. Il lavoro è preghiera: non si deve vivere mendicando. E' contrario alla dignità di un figlio di Dio stendere la mano al passante.


Tu ti stai facendo "mendicante" per i poveri di Tananarive. Non ti pesa  passare in vari stati a fare la questua?


 No! Ci sono tante persone che vivono nella ricchezza e io non ho vergogna a chiedere soldi per i poveri. I ricchi dovrebbero vergognarsi nel permettere a tanta gente di soffrire la fame, dover vivere sulla strada, non poter dare un'istruzione ai figli. E' mio dovere chiedere soldi ai ricchi e sono consapevole di fare loro del bene, alleggerendoli di quei pesi materiali dai quali non possono avere la desiderata felicità. Io chiedo e la gente dona abbondantemente perché sa dove vanno a finire i soldi. Spesso, molte persone non danno nulla perché non si fidano di organizzazioni che chiedono soldi per i poveri e poi con buona parte di essi si arricchiscono. Quello che ricevo, do. E la gente vede il sorgere e crescere dei villaggi per i poveri. Lo vedono pure le grandi organizzazioni preposte al finanziamento degli indigenti: più io realizzo, più ricevo. Così diventa relativamente facile creare lavoro, costruire case, permettere l'insegnamento ai ragazzi. Solitamente, però, sono le persone semplici che mi aiutano: alcuni grandi Organismi spesso mi fanno scrivere centinaia di pagine per illustrare un progetto, mi fanno attendere due o tre anni, per dirmi alla fine che non hanno soldi per aiutarmi a dare da mangiare a migliaia di bambini.

 

Che cosa domandi ai poveri?


Di lottare. Di essere autentici. Di non mentire. Di smettere di rubare, anche se alcuni teologi dicono che per un povero non è peccato rubare. Ma per fare in modo che non rubino, io devo sentirmi responsabile nel procurare loro un lavoro e nel permettere ai loro figli di uscire dall'analfabetismo.


Aiuti i poveri a rendersi coscienti dei loro diritti, oltre che dei loro doveri?


 Qui non esiste uno stato. Lo stato dovrebbe occuparsi dei più poveri, salvaguardando i loro diritti. Ma come è possibile aiutare una popolazione che ha oltre l' 80% di abitanti che vivono nella miseria? Oggi, 1°  maggio, c’erano in chiesa oltre seimila fedeli a ringraziare il Signore per il fatto che riesco a dare un salario regolare, tutti i mesi, a oltre tremila lavoratori. Nei nostri villaggi,ogni anno, riusciamo a costruire un centinaio di case. Abbiamo scuole, dispensari, centri per la sorveglianza e la sicurezza. Facciamo noi quello che lo stato non può fare ed educhiamo i poveri a vivere dignitosamente, secondo i diritti umani e gli ideali evangelici. Qui abbiamo tutto, dalla scuola materna al cimitero. Ed è importante per i poveri sentirsi amati, rispettati e trattati come figli dalla culla alla tomba.


 Ma lo stato ti ha dato almeno la terra per costruire i villaggi per i poveri?


No! Non mi ha dato nulla. Ho dovuto occupare discariche e trasformarle in villaggi. Io continuo a gridare, alla televisione, che i politici non solo non aiutano i poveri, ma li fanno diventare sempre più poveri. E questo in un Madagascar che ha un sottosuolo ricchissimo. L'elite di questo paese deve domandare perdono ai poveri per averli resi miserabili. Quando lo stato festeggiò il 25°dell'indipendenza, cercò di liberare un po' la città dalle immondizie che venivano portate qui, in questo luogo che noi abbiamo convertito in un paradiso. Quando i poveri cercavano di recarsi all'ospedale, venivano scacciati, perché indossavano stracci ed erano ricoperti di mosche. Allora abbiamo creato qui dei centri per curare i malati. Lo stesso discorso per la scolarizzazione. Ma tutto è stato fatto perché noi abbiamo occupato questo terreno, dal quale nessuno osa scacciarci per paura che scoppi una rivolta. Ora, nei nostri villaggi noi mettiamo tutto in comune, come facevano i primi cristiani. E questo ci permette di vivere dignitosamente, in pace e con una buona dose di serenità.



 

E quando tu, padre Pedro, non ci sarai più, chi porterà avanti questo immenso complesso?


Noi siamo nelle mani della Provvidenza. E' lei che ha fatto e fa tutto. Io ho stretto un patto con Dio: il giorno in cui venni qui e vidi dei ragazzi che lottavano con i cani per trarre dalla spazzatura qualche cosa da mangiare, sono tornato in convento e, in ginocchio, ho supplicato il Signore di aiutarmi a fare qualche cosa per quei miserabili. Ho sentito in me una forza,quale risposta al mio patto con il Signore.

 

 Insisto: in tanti stati africani ho visto che tutto crolla allorché il missionario europeo lascia per sempre il Paese dove ha realizzato grandi  cose. Tu stai preparando un successore?


 Quelli che prima vivevano sulle strade ora hanno una casa e in essa vogliono restare. Hanno ritrovato la loro dignità. Non permetteranno che tutto crolli. Inoltre, Dio mi ha dato sufficiente tempo per preparare giovani che portano avanti bene il loro lavoro: ne ho quattrocentododici che lavorano a tempo pieno sono un esercito! Tra questi, vi sono delle donne che gestiscono
intelligentemente i soldi e si dedicano completamente all'educazione e per fare ciò a tempo pieno, non si sono nemmeno sposate. Saranno loro a continuare quello che io ho cominciato, e sono tutti malgasci.


Per la formazione permanente di questi malgasci, quali dovrebbero essere le priorità?


Risuscitare la speranza. Quando prendo un povero dalla strada per portarlo qui, mi rendo conto che manca completamente di speranza. Gli chiedo quanti figli abbia. Cinque, sei? Allora lo stimolo a confidare nelle sue forze e a credere nella vita. Occorre far rinascere nella gente la speranza, ma ciò è possibile solo nella verità: dire basta alla corruzione, basta alle politici che non fanno altro che mentire. Solo la verità rende liberi, come ha detto Cristo. Liberi e autentici: questa la priorità! Nella verità, nella libertà, nell'autenticità riusciranno a far rinascere e risorgere la speranza di poter sanare la vita pubblica – che è tutta una menzogna – e ridare così dignità ai poveri. Questi non devono scappare dall'Africa e dal Madagascar per andare a morire nel Sahara o annegati nel Mar Mediterraneo, nel Mar Rosso o nell'Oceano Indiano. E questo perché i loro stessi compatrioti li hanno venduti, non hanno creato posti di lavoro per i milioni e milioni di giovani africani e malgasci.


 Già negli anni sessanta, la Chiesa aveva previsto "l'ira dei popoli poveri" e il loro esodo verso l'Occidente. Aveva adombrato questa situazione con l'immagine dei vasi comunicanti: in Africa c'è nulla, in Occidente troppo, per cui si tenderà all'equilibrio. Gli Africani verranno da noi . Ora che ciò sta capitando, che cosa dobbiamo fare?


Dare credito a quella Chiesa che mantiene viva la speranza e aiuta i poveri a “tenere la testa fuori dall'acqua, perché non tutti muoiano annegati”. Sono soprattutto i credenti che aiutano a mantenere nel cuore la speranza. E lo fanno soprattutto le religiose, le suore e tante donne africane che portano il peso della sopravvivenza della loro terra. Le donne salvano l'Africa e il Madagascar! Sono loro che tengono viva la speranza, dicendo a tutti che il Signore è risorto, è vivo. Perciò,qualunque sia la nostra situazione economica, noi che abbiamo la fede, assieme al Salmista gridiamo di gioia, lodando il Signore. Lo celebriamo con l'arpa e la chitarra e portiamo il nostro entusiasmo nelle nostre liturgie, qui, in questo luogo che prima era una discarica e adesso è un tempio in cui si sperimenta il privilegio di cantare e celebrare la nostra fede e la grandezza dell’amore di Dio.

 

Valentino Salvoldi

 

 

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009