L'Europa e il crocefisso, la
cristianofobia al potere
Ci siamo. Da diverso tempo si accumulavano i segnali di un prossimo
colpo delle istituzioni europee contro il cristianesimo e la Chiesa
Cattolica. Qualche mese fa, il 4 marzo 2009, avevo avuto occasione di
partecipare come esperto a Vienna a una conferenza dell’OSCE
(Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) dove era
stato lanciato l’allarme su una montante «cristianofobia», che in
diversi Paesi non si limitava più alla propaganda ma si esprimeva in
leggi e sentenze contro la libertà religiosa e di predicazione dei
cristiani e contro i loro simboli. L’attacco anticristiano si era finora
svolto in modo prevalentemente indiretto, attraverso la proclamazione di
presunti «nuovi diritti»: anzitutto, quello degli omosessuali a non
essere oggetto di giudizi critici o tali da mettere in dubbio che le
unioni fra persone dello stesso sesso debbano godere degli stessi
riconoscimenti di quelle fra un uomo e una donna. Tutelando gli
omosessuali non solo – il che sarebbe ovvio e condivisibile – da
violenze fisiche, ma da qualunque giudizio ritenuto discriminante ed
etichettato come «omofobia», le istituzioni europee violavano fatalmente
la libertà di predicazione di tutte quelle comunità religiose, Chiesa
Cattolica in testa, le quali hanno come parte normale del loro
insegnamento morale la tesi secondo cui la pratica omosessuale è un
disordine oggettivo e uno Stato bene ordinato non può mettere sullo
stesso piano le unioni omosessuali e il matrimonio eterosessuale.
La sentenza «Lautsi c. Italie» del 3 novembre 2009 della Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo segna il passaggio della cristianofobia dalla fase
indiretta a una diretta. Non ci si limita più a colpire il cristianesimo
attraverso l’invenzione di «nuovi diritti» che, proclamando il loro
normale insegnamento morale, le Chiese e comunità cristiane non potranno
non violare, ma si attacca la fede cristiana al suo cuore, la croce. I
giudici di Strasburgo – dando ragione a una cittadina italiana di
origine finlandese – hanno affermato che l’esposizione del crocefisso
nelle aule scolastiche italiane viola i diritti dei due figli, di undici
e tredici anni, della signora Lautsi, li «perturba emozionalmente» e
nega la natura stessa della scuola pubblica che dovrebbe «inculcare agli
allievi un pensiero critico». Ove tornasse in Finlandia, la signora
Lautsi dovrebbe chiedere al suo Paese natale di cambiare la bandiera
nazionale, dove come è noto figura una croce, con quale perturbazione
emozionale dei suoi figlioli è facile immaginare. Basta questa
considerazione paradossale per capire come, per qualunque persona di
buon senso, la croce a scuola o sulla bandiera non è uno strumento di
proselitismo religioso ma il simbolo di una storia plurisecolare che,
piaccia o no, non avrebbe alcun senso senza il cristianesimo. In Italia
la signora Lautsi intascherà cinquemila euro dai contribuenti – un
piccolo omaggio della Corte di Strasburgo – e avrà diritto di far
togliere i crocefissi dalle aule dove studiano i figli. Certo, ci sarà
l’appello, e giustamente il nostro governo rifiuterà di applicare questa
sentenza ridicola e folle. Ma le «toghe rosse» italiane si sentiranno
incoraggiate dai colleghi europei. Che non sono tutti «stranieri» dal
momento che uno dei firmatari della sentenza è il giudice italiano a
Strasburgo, il dottor Vladimiro Zagrebelsky, campione – insieme al
fratello minore Gustavo – del laicismo giuridico nostrano.
Massimo Introvigne
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