Vincenzo Noto

 

 

Introduzione  

La poesia di Mons. Pio Vigo è nel segno della “fatica del cuore”. L’espressione, ricorrente nelle fonti patristiche sull’esicasmo, suggerisce l’impegno e la lotta per purificare e custodire il cuore. Anche i versi di questa raccolta - e in particolare proprio questi versi - sembrano scaturire dalle profondità di un cuore messo a nudo, un cuore semplice, integro e silenzioso, “il cuore totalmente libero e pieno d’infanzia” (Ora mi sento vero).

Non a caso leggendo i versi di Mons. Vigo il respiro si calma: le parole soppesate introducono in un’oasi di quiete e di riposo per lo spirito. Nascono da un respiro lungo, pacato: il respiro della notte, delle prime luci dell’alba, del tempo sospeso, del tempo interiore. Si perde la dimensione del tempo cronologico familiarizzando con la poesia di Mons. Vigo e si fa strada la forza e il ritmo della preghiera, di un respiro ritmato dalla preghiera. È in questo tempo custodito che le poesie di questa raccolta si accendono come luci nel cuore dell’autore: i misteri della redenzione di Cristo (il mistero dell’annunciazione, del natale, della morte e resurrezione di Cristo, dalla maternità di Maria), gli eventi cruciali della Sua vita (La Pasqua nel Cenacolo, l’incontro con la Veronica, la bellissima Via crucis che chiude la raccolta) sono raggiunti da questa luce interiore e profonda e, proprio per ciò, diventano capaci di rivelarci la chiave per entrare nel mistero della nostra stessa vita: significativamente, nel Rosario meditato e nella  stessa Via crucis le espressioni quasi lapidarie di commento suonano come una bussola di orientamento dell’esistenza umana e si percepisce dietro ad esse ciò che abita nel cuore dell’autore. È la stessa luce del cuore a sostenere il canto meravigliato delle “sorprese” della natura (La sorpresa è diventata canto; Mi sorridono i sassi), la celebrazione dei momenti significativi della vita della diocesi o della Chiesa universale o, infine, semplicemente la lirica dei piccoli eventi quotidiani: il tono è sempre raccolto, lo sguardo essenziale, quasi a voler liberare ogni evento della creazione o dell’istituzione o anche della vita privata da tutto ciò che impedisce di leggerne la trama sottile e spirituale, che resiste al passare del tempo.

Riaffiora qua e là nella raccolta la fatica del cammino verso il silenzio e la custodia del cuore, un cammino in cui ci prendono per mano compagni spesso gravosi: “Mai come adesso/ mi sento solo,/ incompreso,/ rifiutato.” (Vigilia). “Lasciatemi piangere stasera/ assieme a quanti hanno il cuore ferito/ più del mio./ Resteremo in silenzio/ ai piedi del muro del dolore/ e busseremo con le lacrime/ fino a notte alta.” (Dandoci una mano).

Significativamente, questo sentire si alterna a quello, ricorrente, del godimento della pace di un luogo protetto, sicuro, che è casa fatta di mura, ma non solo (Mi sorride il suo canto; Baciata dal sole). Un unico filo rosso si dipana tra questi movimenti dell’anima: è il richiamo di un cuore esigente, che svela le sue pieghe più nascoste con il trascorrere degli anni, è dunque la spinta dal profondo a una conversione continua e sempre rinnovata che, da un inizio all’altro, per dirla con Gregorio di Nissa, conduce l’uomo fin sul limite della vita: “Sento avvicinarsi,/ come onda/ il momento decisivo./ La gioia di riuscire/ mi fa rimanere in piedi/ pronto a tuffarmi nell’ora/ che farà germogliare nelle mie vene/ il profumo della primavera.” (Vigilia).

È un tempo che il Signore ha trasformato in grazia quello evocato dai versi di Mons Vigo: la grazia di chi sa attendere, di chi spera tutto da ciò che attende: “Aspettate la notte! –gridai -:/ il sussurrare del vento/ vi farà conoscere la melodia della preghiera/ e la stella polare/ vi insegnerà il cammino!” (Assetati di certezza). L’attesa che governa il tempo diventa resa totale al Salvatore: “Ora ripartiamo da Te” (Riempita di Infinito), sete di quell’acqua limpida che il trascorrere del tempo non può esaurire: “Si è frantumata la roccia della nostra casa;/ ma è rimasta l’acqua limpida/ che si rigenera ogni giorno/ alla sorgente.” (Fontana zampillante). Diventa lucidità della  propria debolezza e fiducia che colma ogni debolezza: “Vengo a te o Signore/ con il vaso di argilla, frantumato/ che un giorno/ hai voluto riempire di tesori. Lo pensavi/ vivaio di speranza per tutti;/ ed adesso è diventato/ un mucchio di terra/ con tanti cocci/ che soffocano anche i germogli/ rimasti nascosti./…Ora lo ripongo nelle tue mani,/ onnipotenti e misericordiose,/ chiedendoti di ridarmelo intero/ e capace di riprendere il canto/ di primavera/ assieme a tutto il creato” (Fragile come creta).

Le parole superflue vengono meno in un clima di attesa: “Ora ripartiamo da Te/ con il compito di trasmettere/ le parole che aprono gli occhi/ e fanno riconoscere Colui che ci ha salvato” (Riempita di Infinito). L’impegno che l’autore assume nei versi ora citati anima in realtà tutta la raccolta: procedendo nella lettura si fa sempre più netta l’impressione che le parole di Mons. Vigo risuonino di una sola Parola, ripetuta e declinata nelle sue tante luci e varianti, le luci di un cuore doloroso e gioioso, affaticato e quieto, sempre vigile. Si avverte la presenza di questa Parola di vita nelle pieghe delle parole dell’autore: una Parola ascoltata, assimilata, custodita, e, proprio perciò, capace di orientare le povere parole del quotidiano. La Parola di vita è la luce, il respiro profondo delle poesie di questa raccolta: “La sua fiamma/ seguiva i movimenti del mio respiro/ come se leggesse i pensieri./ Il suo pacato chiarore/ scioglieva come cera la mia inquietudine” (Ammaestrato dal fuoco). La fiamma del cero di casa che l’autore contempla nella sera di un tempo interiore è figura di una fiamma interiore, capace di regolare il respiro della nostra vita.

Quando l’autore mi ha comunicato il titolo della raccolta, mi è venuto in mente il Salmo in cui Israele piange l’incapacità di suonare le cetre in terra straniera: queste pendono dai salici, mute (Sal 136). L’esilio di Babilonia è anche l’esilio di un cuore che deve ritrovarsi, rientrare in se stesso. Senza enfasi, i versi di Mons. Vigo sono un invito tacito a prendere la strada della purificazione del cuore, senza la quale ogni virtù è illusoria, come dicevano i Padri. Lungo questa strada, si lascia alle spalle il cuore diviso e doppio e si matura, non senza fatica, un cuore integro e indiviso. La cetra suonata dall’autore con i versi di questa e di altre raccolte risuona nel cuore di quanti insieme con lui si sono incamminati in questo percorso faticoso. La sintonia diventa augurio che Mons. Vigo estende ad ogni uomo: “Con le note di questo strumento/ antico quanto la storia dell’uomo/ vorrei raggiungere il cuore di tutti/ in punta di piedi.” (Prestami la cetra).

 

Monreale, 14 settembre 2009

Esaltazione della Santa Croce                                                                                                      P. Giuseppe Ferro Garel d. R.

 

 

 

 

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009