Sull’esempio di Falcone, Borsellino e degli agenti delle scorte
Continuare a lottare contro la piaga sociale della mafia
Il Presidente
della Repubblica sarà nella nostra regione dal 22 al 24 maggio, in
occasione delle cerimonie commemorative del sacrificio di Giovanni
Falcone, Paolo Borsellino e degli agenti delle scorte. Il Capo dello
Stato, a Palermo, deporrà una corona davanti alla lapide in ricordo del
personale di scorta di Falcone e Borsellino alla caserma Lungaro,
parteciperà al convegno organizzato dalla Fondazione “Giovanni e
Francesca Falcone” sul tema “Legalità, impresa e sviluppo”. Il
Presidente Napolitano si recherà inoltre in via D’Amelio per rendere
omaggio alla figura del giudice Borsellino nel diciassettesimo
anniversario dell’assassinio. Il ricordo di questi generosi e fedeli
servitori dello Stato (e quindi della nostra libertà e sicurezza) non
deve mai cessare, anzi ci deve stimolare ad essere decisi ad operare
contro ogni forma di prepotenza e corruzione mafiosa. Ancora oggi
valgono le affermazioni contenute nella relazione del 6 aprile 1993
dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta allora
dall’onorevole Violante: Cosa Nostra “ha una propria strategia politica.
L’occupazione e il governo del territorio in concorrenza con le autorità
legittime, il possesso di ingenti risorse finanziarie, la disponibilità
di un esercito clandestino e ben armato, il programma di espansione
illimitata, tutte queste caratteristiche ne fanno un’organizzazione che
si muove secondo logiche di potere e di convenienza, senza regole che
non siano quelle della propria tutela e del proprio sviluppo. La
strategia politica di Cosa Nostra non è mutuata da altri, ma imposta
agli altri con la corruzione e la violenza (…), alla produzione della
politica in senso complessivo, cioè determina o contribuisce a
determinare le decisioni e le scelte riguardanti la gestione del potere
e la distribuzione delle risorse”. La relazione indicava quale era (e
quale è!) l’obiettivo fondamentale della mafia: “con le mani sugli
appalti Cosa Nostra riesce a controllare gli aspetti essenziale della
vita economica e politica del territorio, perché condiziona gli
imprenditori, i politici, i burocrati, i lavoratori, i liberi
professionisti. Questo aspetto contribuisce a rafforzare il dominio sul
territorio, consolida il consenso sociale, potenzia le singole famiglie
mafiose nel territorio, nella società e nell’ambiente politico ed
amministrativo”. Dobbiamo chiederci cosa è veramente cambiato, da
quegli anni in pieno clima di emergenza dopo gli attentati di Capaci e
di Palermo, che hanno fatto “risvegliare” buona parte di società e
Chiesa siciliane. Il Procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, nel
suo ultimo libro-intervista “Per non morire di mafia” (Sperling
& Kupfer), ci ricorda (e
facciamo volentieri e con convinzione il suo appello) che “la mafia (…)
teme gli attacchi sul terreno della comunicazione e dell’azione sociale,
quanto l’azione repressiva. (…) Perciò non basta contrastare la mafia.
Bisogna ricostruire la democrazia nel Mezzogiorno e rafforzarla nel
resto d’Italia, con l’impegno di tutti, sia dei cittadini, sia di coloro
che rappresentano gli interessi dei cittadini nei partiti, nella
politica, nelle istituzioni, nei sindacati, nei movimenti, nelle
associazioni di categoria. L’antimafia diretta alla repressione della
criminalità mafiosa deve perciò essere accompagnata dall’antimafia della
correttezza della politica e del mercato, dell’efficienza della pubblica
amministrazione, del buon funzionamento della scuola”.
Don Francesco Fiorino
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