Mattei - l’unico
petroliere senza petrolio
Spiega
un proverbio africano che quando la memoria va a raccogliere
i rami secchi, torna con il fascio di legna che preferisce.
Il cinema, poi, è questione di cosa è nell’inquadratura e
cosa è fuori. La fiction che racconta Mattei - l’unico
petroliere senza petrolio-, inquadra, per dirla con Paolo
Scaroni, AD dell’Eni, “i tre straordinari pilastri sui quali
Mattei seppe costruire un’impresa e
un’idea di impresa straordinariamente moderne e avanzate.
Mattei
avviò l’industria del gas in Italia con almeno un decennio
di anticipo rispetto all’Europa, costruì nuovi rapporti di
collaborazione con i paesi produttori, gettò le basi della
cultura d’impresa italiana. Queste innovazioni cambiarono la
storia economica dell’Italia e dotarono l’Eni di un
carattere proprio che lo differenzia ancora dalla gran parte
dei suoi concorrenti”.
Mattei (ed è questo il punto focale del suo lascito) aprì
la strada per la conquista delle tecnologie più importanti,
che sono quelle che scompaiono, intrecciandosi con la vita
di tutti i giorni, fino a diventare indistinguibili da essa.
Sono
come l’aria, ce ne accorgiamo solo quando vengono meno. Cosa
c’è “dietro” una lampadina che si accende, l’acqua calda
della doccia, la pompa che eroga carburante? Non ce lo
chiediamo mai, sin quando tutto funziona. Ma “dietro” ci
sono tecnologie importanti ed un sistema complesso che le
sostanzia.
In un film del 1971 (“In nome del Popolo Italiano” diretto
da Dino Risi) Vittorio Gassman piegava: “La corruzione è
l’unico modo per sveltire gli iter e quindi incentivare le
iniziative. La corruzione, possiamo dire paradossalmente, è
essa stessa progresso”. Mattei fu un grande uomo di
“progresso”. La sua bussola gli confermava, da un canto, che
“non si può regnare con innocenza”, dall’ altro gli
ripeteva che “in politica colui che vince, in qualunque modo
vinca, non prova mai vergogna”.
Giorgio Capitani, regista della fiction,non nasconde che
Mattei fu un “grande corruttore incorruttibile e un grande
donnaiolo legato alla moglie. Dei partiti, come aveva
dichiarato, si serviva come di un taxi: salendo, facendosi
portare dove voleva, pagando la corsa, mai lasciandosi
ricattare. Donne e politica erano fuori dalla sua azienda.
Sempre”.
Mentre sfumano i titoli di coda conclusivi, può allora
accadere di avvertire il brivido di un nuova chiave
interpretativa del dramma di Bescapè. La morte che prese
Enrico Mattei a quel modo, forse, altro non fu che
un’astuzia della Storia. Astuzia che già supponeva come un
giorno sarebbero arrivate persone colte di grande ignoranza,
paludate dell’ “in curiosità degli uomini per il dato di
fatto”, animate da indignazione morale,- che è invidia con
l’aureola, capace tuttavia di dare dignità all’ idiota.
Astuzia sapeva che le persone colte di grande ignoranza non
avrebbero esitato a contestare al “petroliere senza
petrolio” il ricorso al sistema dei taxi tra gli applausi di
una “società civile” pur intenta ad accendere e spegnere
lampadine, attenta alle mani pulite con acqua calda, pronta
a girare la chiave dell’ accensione e via con l’ automobile
verso il progresso.. Applausi facili, perché è pur sempre
affascinante ascoltare le voci degli estremisti, anche se
occorrerebbe accertarsi se siano del tutto innocenti e
sopratutto fondate. La palla di fuoco di Bescapè salvò
dunque Mattei rendendo possibile il ritratto agiografico,
certamente dovutogli, filmato per la Tv da Capitani.
Diverso fu il destino di un epigono di Mattei. Il 20 luglio
del 1993 l’ ex presidente dell’ Eni Gabriele Cagliari,
inquisito a San Vittore da Antonio Di Pietro, infilò (a
quattro mesi dall’ arresto), la testa in un sacchetto di
plastica avvelenandosi da solo. Per Cagliari nessuna fiction
, mentre prosegue l’anno zero della Ragione.
Lucio Galluzzo