Vincenzo Noto |
Nelle nebbie della indifferenza e del mutismo Giova coltivare solo il proprio “giardino”?
Impressiona il numero di appelli, di richieste di collaborazione e di partecipazione, di inviti a fare qualcosa per il bene degli altri, che cadono nel vuoto della indifferenza di molti credenti e non, praticanti della messa domenicale e di “devoti” del calcio, dei diversi “gratta e vinci” e del “carnevalone”. Condivido pienamente quanto affermava lo scrittore francese Anatole France - premio Nobel per la letteratura nell'anno 1921 – “preferisco gli errori dell’entusiasmo all’indifferenza del discernimento”. Da qualche anno manca in tanti la passione per le persone in quanto tali. Le persone - da non scordare che ogni persona piccola o grande è unica - sono sempre “importanti”, a prescindere dal fatto che siano miei familiari, che rivestano una qualsiasi responsabilità pubblica o che abbiamo “favorito” la mia esistenza. Malauguratamente troppi si accontentano di coltivare solamente il proprio “giardino”, il proprio piccolo ego. Gli altri, se mi “servono”, bene, se no, ognuno per la sua strada. L'indifferenza, lo sappiamo, è stata ed è un “lato” negativo degli uomini - o almeno di una buona parte di loro - ma oggi sta diventando un comportamento assai diffuso che va ad alimentare la “barbarie” altrui non contrastandola. La disumanità si manifesta in diverse maniere. C’è chi sfrutta il bisogno di lavoro per approfittarne in ogni modo (buste paga decurtate, ore lavorative in più, ricatti anche “sessuali”, lettere di dimissioni già firmate). Donne e bambini ridotti a “merce” per consumi erotici che niente hanno di naturale e umano. Figli che abbandonano i genitori anziani e che dicono di non avere mai tempo per loro. Funzionari pubblici che “ricominciano” (?) a intascare tangenti e a richiedere “benefit” per i propri pargoli. Credenti che vivono le loro credenze o presunta fede - quasi esclusivamente - per assicurarsi una specie di “salvacondotto” contro le malattie e le avversità della vita quotidiana. Responsabili della vita ecclesiale e dello Stato preoccupati più del prossimo “gradino” da raggiungere, che di quanto di essenziale ha veramente bisogno (lavoro, reddito sufficiente, libertà e giustizia) la gente. Per quale ragione si rimane indifferenti e muti? Con quale benda ci si copre gli occhi della propria coscienza? In questa quaresima, il nostro vescovo Domenico, ci ha invitato a riflettere sulla prima lettera di Pietro. Nelle seguenti parole - tratte dal secondo capitolo - possiamo trovare una via per il cambiamento per tutti: “Allontanate dunque ogni genere di cattiveria e di frode, ipocrisie, gelosie e ogni maldicenza”. Sono evidenziati cinque comportamenti distruttivi della vita di comunità (dalla famiglia alle nazioni). La cattiveria è il gusto di far penare un altro, il gusto che l'altro sia umiliato, il voler male agli altri senza alcuno scrupolo. La frode è mostrare agli altri ciò che non è, il costruirsi una maschera senza presentarsi nella propria autenticità. L'ipocrisia va nella stessa linea: fingere, per meglio “far colpo”. Le gelosie – lo sperimentiamo quanto ci dividono - sono tipiche di ogni collettività: quel tale è trattato meglio di me, hanno dato l’incarico a lui e non a me. La maldicenza è il dire male degli altri, lasciando cadere, magari in modo apparentemente casuale, parole di denigrazione o insinuazioni negative. Il nostro presente e il nostro futuro cambieranno se incominciamo a bandire i suddetti cinque negativi modi di pensare e di agire. Il cristiano troverà il sostegno nella Parola di Dio e nella vitalità del Cristo Risorto. Chiunque - senza illudersi di essere già arrivato o di essere una brava persona – riprenda vivere da piccolo fratello dell’umanità. Don Francesco Fiorino – francesco.std@gmail.com
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progetto: SoMigrafica 2009