Per quaranta giorni nel deserto tentato dal diavolo. Quaranta
giorni di digiuno, come scrive Luca, nella lettura per la prima
domenica di Quaresima. Cosa c’entra il digiuno, il cibo, con i
problemi etici, politici, religiosi del nostro tempo? Con la
crisi economica che stiamo attraversando, con le difficoltà di
un dialogo che, a più livelli, sembra dimenticare l’altro, i
suoi diritti, a volte la sua stessa dignità? Cosa c’entra il
deserto, quel restare isolato dal mondo, esposto alla fame,
appunto, alla sete?
È lo stesso Luca che risponde: “Gesù, pieno di Spirito Santo, si
allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel
deserto”. Non aveva bisogno di altro, confidava totalmente in
Dio. Così anche le tentazioni, ricorda Benedetto XVI
all’Angelus, “non furono un incidente di percorso, ma la
conseguenza della scelta di Gesù di seguire la missione
affidatagli dal padre”.
La pratica del digiuno è comune a tutte le tradizioni religiose
e filosofiche, ed è soprattutto occasione per prendere coscienza
della propria identità. Cristo, ricorda il Papa, “è venuto nel
mondo per liberarci dal peccato e dal fascino ambiguo di
progettare la nostra vita a prescindere da Dio”. E lo ha fatto
non con “proclami altisonanti” ma con il mettersi in gioco,
lottando contro il tentatore. Così la Quaresima, quei quaranta
giorni di preparazione alla Pasqua, sono occasione per rileggere
la nostra vita e il suo confrontarsi con se stessi, con gli
altri, con il creato, soprattutto con Dio. È un mettere ordine,
in sostanza, alla nostra esistenza, e questo perché “il mondo –
ricorda il Papa – si migliora incominciando da se stessi,
cambiando, con la grazia di Dio, ciò che non va nella propria
vita”. Soprattutto è un cogliere, nell’essenzialità di un
digiuno, ciò che veramente più conta, lasciando da parte inutili
orpelli. In un certo senso è quel ritrovare uno stile di vita
essenziale – la scorsa Pasqua il Papa parlava di uno stile di
vita “azzimo”, non lievitato – che mette al primo posto quel
qualcosa che è al di fuori di noi e che guida i nostri passi.
Nel digiuno c’è anche una fragilità fisica e si è ancor più
bisognosi di sostegno. Fragilità che in qualche modo si può
leggere nelle tre tentazioni che Benedetto XVI ricorda
all’Angelus; tentazioni cui Satana sottopone Gesù. Innanzitutto
la fame, cioè il bisogno materiale: “Se tu sei Figlio di Dio,
di’ a questa pietra che diventi pane. Ma Gesù risponde con la
Sacra Scrittura: non di solo pane vivrà l’uomo”. La seconda
tentazione è “l’inganno del potere”, il diavolo che mostra a
Gesù “tutti i regni della terra e dice: tutto sarà tuo se,
prostrandoti, mi adorerai”. Gesù, ricorda ancora il Papa,
“smaschera questo tentativo e lo respinge: il Signore, Dio tuo,
adorerai: a lui solo renderai culto. Non adorazione del potere,
ma solo di Dio, della verità e dell’amore”. La terza tentazione
è la proposta di compiere un miracolo spettacolare, “gettarsi
dalle alte mura del Tempio e farsi salvare dagli angeli, così
che tutti avrebbero creduto in Lui. Ma Gesù risponde che Dio non
va mai messo alla prova. Non possiamo fare un esperimento nel
quale Dio deve rispondere e mostrarsi Dio: dobbiamo credere in
Lui! Non dobbiamo fare di Dio materiale del nostro esperimento”.
Ed ecco che quella debolezza del digiuno, che ci rende fragili
ma che, nello stesso tempo, ci chiede di essere forti nel
resistere alla tentazione, trova un “cibo” capace di nutrire e
orientare le nostre scelte. Ed è sempre papa Benedetto che ci
aiuta in questa ricerca, offrendoci questa lettura della Sacra
Scrittura: “Gesù antepone ai criteri umani l’unico criterio
autentico: l’obbedienza, la conformità con la volontà di Dio,
che è il fondamento del nostro essere. Anche questo è un
insegnamento fondamentale per noi: se portiamo nella mente e nel
cuore la Parola di Dio, se questa entra nella nostra vita, se
abbiamo fiducia in Dio, possiamo respingere ogni genere di
inganno del tentatore”. Anche l’uomo di oggi conosce nel suo
profondo la tentazione del potere, dell’ambizione e
dell’edonismo e deve sconfiggerle grazie all’obbedienza a Dio.
Anche qui l’immagine che papa Benedetto offre, è di aiuto alla
nostra riflessione: Cristo è il nuovo Adamo, dunque fratello
dell’uomo, “umile e obbediente al Padre” e, dunque, capace di
resistere alla tentazione di essere immortali senza Dio, cosa
che non riuscì al primo uomo e alla prima donna, nell’Eden. Ma
nello stesso tempo, Cristo non usa la propria divinità per
opprimere gli uomini: egli è figlio del Padre, ma anche fratello
dell’uomo, nella sua fragilità.
Scrive il Papa nel messaggio per la Quaresima: “Adamo ed Eva,
sedotti dalla menzogna di Satana, afferrando il misterioso
frutto contro il comando divino, hanno sostituito alla logica
del confidare nell’Amore quella del sospetto e della
competizione; alla logica del ricevere, dell’attendere fiducioso
dall’Altro, quella ansiosa dell’afferrare e del fare da sé,
sperimentando come risultato un senso di inquietudine e di
incertezza. Come può l’uomo liberarsi da questa spinta egoistica
e aprirsi all’amore?”.
La Quaresima, dunque, è occasione per ripensare il proprio
cammino: “È come un lungo ritiro, durante il quale rientrare in
se stessi e ascoltare la voce di Dio, per vincere le tentazioni
del maligno e trovare la verità del nostro essere. Un tempo,
possiamo dire, di ‘agonismo’ spirituale da vivere insieme con
Gesù, non con orgoglio e presunzione, ma usando le armi della
fede, cioè la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e la
penitenza”.
Fabio Zavattaro
|