Il compimento di una
vita umana
È il giorno di
Pentecoste. Sto tenendo un corso di aggiornamento ai religiosi etiopi,
in un angolo di paradiso, a Debreseit, sulle rive di un lago d’origine
vulcanica, con le sponde inondate di fiori. Dopo la prima conferenza
propongo otto ore di silenzio, sia per far respirare i miei uditori, sia
per godermi l’ebbrezza dello Spirito, facendo un giro, da solo, in
barca.
In quell’ambiente da favola non è difficile pregare, anche se i luoghi
belli creano una certa nostalgia al pensiero che sarebbero ancora più
godibili se contemplati con le persone amate.
Canto “Veni creator Spiritus”. M’immergo nell’acqua. Penso alla
conferenza da tenere alla sera. Mi lascio cullare dal dolce sciabordio
delle acque, finché approdo su una sponda, per cercare ristoro alle
infuocate vampe del sole meridiano. In tutta quell’immensa distesa non
si vede nessun essere umano. E ciò mi dà pace: tutta quella bellezza è
dono delle Spirito solo per me.
Ma presto il mio desiderio di contemplare Dio, e Dio solo, deve fare i
conti con una persona che sbuca dalle canne di bambù, discrete guardiane
del mio silenzio. Un giovane dall’età indefinibile, storpio, con un viso
che sembra abbozzare un sorriso a causa di una bocca troppo larga, con
uno sguardo che invoca una relazione. Fatico a capire la sua prima
parola, più volte ripetuta: “Solo”. Gli africani mal sopportano la
solitudine. E chiara , invece, è la seconda parola: “Povero”, riferito
evidentemente a me. Povero perché solo.
Un tumulto di sentimenti m’invade il cuore: la Pentecoste, festa
dell’Amore; l’ambiente paradisiaco; il mio bisogno di stare solo; la
mia sete d’avere incontri con persone stimolanti … Ed ecco davanti a me
un essere “incompiuto” che mi si accosta per togliermi dalla mia
solitudine e per cercare un po’ di affetto. Infatti, quando gli porgo la
mano, me la trattiene e comincia a giocare con le mie dita come se
fossimo amici da sempre.
Mi guarda con occhi arrossati e con quel persistente sorriso malato
sulla bocca sproporzionata e sfigurata. Provo a parlargli, ma presto
devo desistere. Mi viene voglia solo di piangere, al pensiero di quanto
un giovane russo, a Mosca, m’aveva detto: “Basta una lacrima di un
bambino innocente per dimostrare che il tuo Dio non esiste”. Ed ecco
affollarsi alla mia mente quei brani letterari più volte citati durante
le lezioni e le conferenze: Dostoevskij che mette sulla bocca di Ivan
Karamazov che non riuscirà mai a credere finché dovrà fare i conti con
la sofferenza di un bambino innocente. E Camus che non può accettare
la divinità di Cristo perché alla sua nascita i suoi coetanei,
innocenti, sono stati ammazzati da Erode.
Quel giovane etiope posa il suo capo sulla mia spalla. Umanamente
parlando provo un sentimento di repulsione. Ma lo lascio fare, al
pensiero che, in seguito, non mi sarei mai perdonato d’avere rifiutato
la mia spalla ad una creatura deforme bisognosa d’affetto. Chiudo gli
occhi e invoco lo Spirito Santo di concedermi la grazia di capire che
“ pregare significa sentire che il senso del mondo è fuori dal mondo”.
Supplico lo Spirito di darmi la forza di accettare e contraccambiare un
po’ di tenerezza.
Tenerezza che – ce l’ha insegnato Cristo, quando una donna gli stava
ungendo i piedi – è santa se effusa magari anche solo in vista della
morte. Tenerezza che nasce dall’ unione alla fonte di ogni amore, Dio, e
che di Lui e del Suo Amore rende testimonianza. Tenerezza che agonizza
disperata nel terrore, come durante il nazismo. Tenerezza che addita il
compimento di una vita umana non nelle forme esteticamente perfette,
propagandate dai canoni televisivi, e difese dalle nostre paure, ma in
un corpo che, al di là del limite fisico, mostra la sua Bellezza nella
capacità di offrirsi a chi è “solo”, perciò “povero”.
Un corpo incompiuto? Dove sta la compiutezza umana? Non è questa un
rimando al compimento in una vita che non avrà mai fine e sarà un
progredire in bellezza e in splendore, un perdersi nell’Infinito?
… e penso all’”Incompiuta” di Franz Schubert che intende la musica
come compagnia, come luogo di rapporti umani, come ricerca di
sentimenti veri, per fuggire da una realtà … spietata, imprevedibile e
misteriosa. Canto enigmatico. Tristezza sconfinata. Preghiera che fa
breccia al cielo.
Ma il capolavoro di Schubert resta incompiuto. Proprio perché
l’incompiutezza evoca sentimenti ineffabili e invoca il compimento
perfetto là dove la celeste armonia svelerà l’enigma, asciugherà ogni
lacrima e avvolgerà ogni creatura nell’ebbrezza di sperimentare che solo
in Dio ha senso l’umana avventura. Solo in Dio si compie.
E nell’attesa di quel giorno radioso, è bello che tutto resti sospeso
sulla prospettiva dell’Infinito che, alla fine, rende bello, già qui in
terra, anche il corpo deforme un giovane etiope.
Valentino
Salvoldi
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